Tra le richieste che la Petizione "Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano" rivolge al Ministero del Lavoro rientra anche quella dell'esclusione dagli studi di settore per i lavoratori autonomi colpiti da malattia grave o prolungata. Gli studi di settore sono uno storico tasto dolente per tutte le partite iva, ma in caso di malattia diventano uno strumento davvero inconcepibile e vergognoso. Ecco la ricerca che ha fatto Afrodite K per voi con dettagli e sentenze della Cassazione.
Qualcuno ricorderà la famigerata "Minimum Tax" (introdotta nel 1992 dal Governo Amato) che, costringendo i lavoratori autonomi a dichiarare un reddito minimo, al di là che lo si fosse raggiunto o meno, portò alla chiusura di migliaia e migliaia di piccole attività, evidentemente in regola. I più fortunati trovarono un lavoro come dipendenti, i meno fortunati rimasero disoccupati e altri, per sopravvivere iniziarono a lavorare in nero. Questa vergognosa imposizione fu duramente contestata e ritenuta incostituzionale, ma solo dopo tre anni di applicazione e danni, venne abolita. In tanti tirarono un sospiro di sollievo, ma fu subito rimpiazzata dagli "studi di settore".
Ma cosa sono esattamente gli studi di settore?
Gli studi di settore rappresentano uno strumento ideato dal legislatore al fine di rendere più efficace l'azione accertatrice. In estrema sintesi, gli studi di settore si basano su parametri pre-impostati che, applicati alla realtà aziendale o professionale, consentono la determinazione dei ricavi o dei compensi che con massima probabilità il contribuente sarebbe in grado di generare nello svolgimento della propria attività. Molti imprenditori, professionisti, commercianti, artigiani che non riescono ad allinearsi ai parametri reddituali degli studi di settore sono convocati dall’amministrazione tributaria per l’accertamento (richiesta pagamento imposte) chiedendo la dimostrazione dello scostamento. La dimostrazione è molto difficile perché è necessario portare le prove di NON aver ricavato un importo statisticamente supposto dal software GE.RI.CO. (acronimo di Gestione Ricavi e Compensi)
L’onere della prova è illegittimamente a carico del cittadino che per evitare multe, sanzioni e complicati e costosi ricorsi spesso preferisce adeguarsi alle richieste formulate sulla base degli Studi di Settore e paga l’importo preteso. Si tratta della "probatio diabolica", letteralmente prova del diavolo. L'espressione viene usata per indicare una prova impossibile. Quando un sistema giuridico si trova di fronte a questa situazione in genere ricorre all'inversione dell'onere della prova o concede diritti aggiuntivi per la parte che si trova di fronte alla probatio diabolica. In sostanza la mancanza della prova che contraddice l'affermazione data rende l'affermazione vera in un certo senso. Secondo la tradizione questo uso del termine si collega con l'idea che non vi sono prove per dimostrare che il diavolo esiste. Ma non si può provare che "il diavolo non esiste" in questo modo, quindi non si può escludere che il diavolo esista.
Come commenta Anna Soru presidente di Acta "Per il fisco i professionisti sono presunti colpevoli".
Ricordo come fosse ieri quando, per un accertamento sull'anno di attività professionale 1996, su consiglio del commercialista, "patteggiai" pagando una multa ridotta perchè avevo osato guardagnare al di sotto dei parametri degli studi di settore (becca e bastonata, non solo avevo lavorato di meno ma fui pure punita per questo). Allora facevo parte del popolo delle rane bollite e non osai ribellarmi anche se mi ci girarono parecchio i coglioni. Adesso è diverso. Non aspetto altro che mi arrivi una "non-congruità" da studio di settore relativa agli anni post-diagnosi di cancro al seno, così inizio a divertirmi sul serio.....
Ricordo come fosse ieri quando, per un accertamento sull'anno di attività professionale 1996, su consiglio del commercialista, "patteggiai" pagando una multa ridotta perchè avevo osato guardagnare al di sotto dei parametri degli studi di settore (becca e bastonata, non solo avevo lavorato di meno ma fui pure punita per questo). Allora facevo parte del popolo delle rane bollite e non osai ribellarmi anche se mi ci girarono parecchio i coglioni. Adesso è diverso. Non aspetto altro che mi arrivi una "non-congruità" da studio di settore relativa agli anni post-diagnosi di cancro al seno, così inizio a divertirmi sul serio.....
I problemi connessi agli studi di settore sono innumerevoli.
Il primo consiste nel
valutare quanto siano realistici i risultati ottenuti attraverso la loro
applicazione. In ogni caso, il risultato che si ottiene attraverso
l'applicazione degli studi di settore alla realtà aziendale o
professionale rappresenta una presunzione relativa che può essere posta a
base di avvisi di accertamento, senza che gli uffici siano tenuti a
fornire specifiche motivazioni in ordine ai risultati ottenuti.
Inoltre, secondo quanto afferma l'art.53 della Costituzione ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva...") sarebbe giusto che ognuno contribuisse per quello che guadagna effettivamente e non in base ai dati presunti dagli Studi di Settore, uno strumento ingiusto che molto spesso penalizza i contribuenti onesti costretti, per evitare multe, sanzioni e complicati ricorsi ad adeguarsi ai parametri pre-determinati pagando imposte che non sono dovute.
In ultima analisi ognuno dovrebbe essere libero di essere più o meno abile, furbo, capace,
avere il bacino di clientela che si ritrova, e non ultimo essere anche
libero di decidere se schiantarsi la schiena giorno e notte sette giorni
su sette, oppure
accontentarsi di lavorare meno, e guadagnare meno.
Concluedendo le problematiche e le polemiche innescate dagli studi di settore sono
tali che alcune forze politiche ed associazioni di categoria da tempo ne
chiedono l'abolizione.
Detto questo, e già basterebbe, il tutto si complica ulteriormente quando la partita iva viene colpita da una malattia grave o prolungata. Per ovvi motivi, infatti, il suo fatturato si discosterà per un periodo più o meno lungo da quello presunto dagli studi di settore.
Queste sono alcune testimonianze arrivate dai firmatari della Petizione "Diritti ed assistenza per i lavoratori autonomi che si ammalano". Anna Laura Petrucci di Ascoli Piceno racconta: "L'ho vissuto sulla mia pelle: una azienda familiare, un padre malato da 19 anni a carico e 3 di noi con un tumore. A nulla sono valse le mie lettere per spiegare come mai non rientriamo negli studi di settore...e dobbiamo anche pagare le multe che ne derivano". Romana Piserà racconta: "Firmo perchè ho avuto il cancro al seno , ho messo una bandana ed ho dovuto lavorare ugualmente anche se stavo malissimo ed ho fatto quello che era indispensabile per non chiudere il mio studio legale dove lavoro da sola, non ho avuto nessun aiuto , vivo da sola, lo Stato , però, mi ha fatto l'accertamento sui redditi perché nel 2004/2005 secondo lui ho guadagnato poco. Ho spiegato che avevo lavorato poco perchè avevo avuto il cancro, ma non c'è stato nulla da fare". Non basta. Il racconto che Elisabetta Segatori ci fa sottolinea il problema delle partite iva che svolgono il ruolo di caregivers. Per i dipendente c'è la legge 104, per gli autonomi invece c'è questo : "Tumore alla tiroide dal 2000, ancora in terapia, mio marito per seguire me, anche lui autonomo, si è fermato un anno e mezzo, accertamento perché non fatturava ( studi di settore). Morale dopo sette anni "condannato" a pagare tasse di denaro mai percepito!".
Ecco qualche dritta per i lavoratori autonomi che dopo essersi ammalati sono anche "graziati" da uno studio di settore che non li ritiene "congrui".
Queste sono alcune testimonianze arrivate dai firmatari della Petizione "Diritti ed assistenza per i lavoratori autonomi che si ammalano". Anna Laura Petrucci di Ascoli Piceno racconta: "L'ho vissuto sulla mia pelle: una azienda familiare, un padre malato da 19 anni a carico e 3 di noi con un tumore. A nulla sono valse le mie lettere per spiegare come mai non rientriamo negli studi di settore...e dobbiamo anche pagare le multe che ne derivano". Romana Piserà racconta: "Firmo perchè ho avuto il cancro al seno , ho messo una bandana ed ho dovuto lavorare ugualmente anche se stavo malissimo ed ho fatto quello che era indispensabile per non chiudere il mio studio legale dove lavoro da sola, non ho avuto nessun aiuto , vivo da sola, lo Stato , però, mi ha fatto l'accertamento sui redditi perché nel 2004/2005 secondo lui ho guadagnato poco. Ho spiegato che avevo lavorato poco perchè avevo avuto il cancro, ma non c'è stato nulla da fare". Non basta. Il racconto che Elisabetta Segatori ci fa sottolinea il problema delle partite iva che svolgono il ruolo di caregivers. Per i dipendente c'è la legge 104, per gli autonomi invece c'è questo : "Tumore alla tiroide dal 2000, ancora in terapia, mio marito per seguire me, anche lui autonomo, si è fermato un anno e mezzo, accertamento perché non fatturava ( studi di settore). Morale dopo sette anni "condannato" a pagare tasse di denaro mai percepito!".
Ecco qualche dritta per i lavoratori autonomi che dopo essersi ammalati sono anche "graziati" da uno studio di settore che non li ritiene "congrui".
Info Fisco (link pag 6/11) cita tra le cause di esclusione dagli studi di settore le assenze forzose (malattie o infortuni) che abbiano pesantemente consizionato l'attività lavorativa. E' fondamentale provare l’incidenza della malattia nell’ambito dell’attività. Secondo la sentenza della Cassazione n. 17534 del 12/10/2012 gli studi di settore sono inapplicabili al contribuente che “certifica” il calo
del volume di affari con una malattia che lo costringe ad una riduzione
delle ore lavorate. A proporre ricorso contro la sentenza della CT è
l’Agenzia delle Entrate. Nelle motivazioni, i giudici della CT hanno
rilevato che “l’utilizzo dei parametri non conduce automaticamente
all’inversione dell’onere della prova a favore dell’Amministrazione
fiscale ed al rilievo che, nel caso concreto, le comprovate precarie
condizioni fisiche della contribuente fornivano ragionevole spiegazione
delle incongruenze espresse dall’applicazione del dato parametrico”. Anche la Cassazione si trova concorde sulle conclusioni; infatti, si legge nelle conclusioni della sentenza, “la
decisione impugnata appare incensurabile per aver, in conformità con il
principio sopra richiamato, negato idoneo valore probatorio a dati
parametrici, specificamente contestati dal contribuente con riferimento
alle proprie comprovate precarie condizioni fisiche, e non altrimenti
asseverati dall’Agenzia”.
Anche la sentenza della Cassazione n. 29185 del 27/12/2011) concorda nell'inapplicabilità degli studi di settore in caso di malattia.
In assenza però della dimostrazione reale dell'incidenza della malattia sulla capacità lavorativa, lo studio può invece operare. Durante il contraddittorio oppure in sede contenziosa, il contribuente deve fornire tutte le argomentazioni atte a dimostrare la sua esclusione dall’applicazione degli studi di settore, oppure la stima non corretta dei ricavi/compensi attraverso prove documentali o anche ricostruzioni presuntive. A quest’ultimo riguardo, esaminando la giurisprudenza sinora pronunciatasi, si può, in linea generale, sostenere che, per vincere tale ricostruzione presuntiva, non è sufficiente limitarsi alla mera enunciazione dell’inadeguatezza dello studio applicato, oppure portare argomentazioni difensive generiche o un mero elenco di circostanze che potrebbero aver inciso sul buon andamento dell’attività. Al contrario, il contribuente deve addurre elementi certi e convincenti a suo discarico e dare una critica dimostrazione delle concrete implicazioni che tali eventi hanno cagionato in termini di minori ricavi/compensi e minor reddito rispetto ai risultati dello studio di settore. Ne sono un esempio le seguenti sentenze. Cassazione n.22555 del 05/11/2010 nella quale è stato ritenuto superficiale il richiamo ad una patologia in quanto la certificazione medica non indicava in quale misura e sulla base di quali parametri la stessa riducesse notevolmente l’attività lavorativa. Cassazione n. 19754 del 17/09/2010 nella quale l’intervento chirurgico al quale è stato sottoposto il contribuente può costituire motivo di inapplicabilità degli studi di settore, a condizione che il medesimo dimostri l’incidenza che tale evento ha avuto sulla capacità reddituale, non rilevando il fatto in sé, ma la durata delle conseguenze e, eventualmente, l’inabilità al lavoro provocata. Nel caso di specie, è stato ritenuto corretto l’operato del giudice di secondo grado che, condividendo le ragioni dell’ufficio, ha ritenuto che la documentazione prodotta non fosse sufficiente a dimostrare che la prognosi dell’intervento avesse reso impossibile il regolare svolgimento dell’attività. CTP Brindisi n. 55 del 6/03/2013; C.T.P. di Mantova, Sez. V, Sentenza dell’8/07/2005, n. 62 .
L'invalidità può essere un elemento sufficiente ad inficiare l’applicazione dello studio di settore. Al contribuente affetto da invalidità non si applicano gli studi di settore come stabilito dalla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale CTR Liguria n.40/13/12 del 9/05/2012 . Ancor di più se, come si legge nelle conclusioni della sentenza dei giudici genovesi, “l’Ufficio era a conoscenza della particolare condizione del signor (...) (invalidità al 56%). L’esistenza di una situazione di invalidità di tale misura non permette di considerare le capacità produttive del soggetto secondo criteri standard statisticamente determinati. Se si considera poi che i ricavi statistici si discostano dai dichiarati in misura modesta (16%), appaiono, nella specifica situazione, veritieri i ricavi dichiarati, infondato perciò il maggior accertamento e da riformare la sentenza impugnata”.
Anche la sentenza della Cassazione n. 29185 del 27/12/2011) concorda nell'inapplicabilità degli studi di settore in caso di malattia.
In assenza però della dimostrazione reale dell'incidenza della malattia sulla capacità lavorativa, lo studio può invece operare. Durante il contraddittorio oppure in sede contenziosa, il contribuente deve fornire tutte le argomentazioni atte a dimostrare la sua esclusione dall’applicazione degli studi di settore, oppure la stima non corretta dei ricavi/compensi attraverso prove documentali o anche ricostruzioni presuntive. A quest’ultimo riguardo, esaminando la giurisprudenza sinora pronunciatasi, si può, in linea generale, sostenere che, per vincere tale ricostruzione presuntiva, non è sufficiente limitarsi alla mera enunciazione dell’inadeguatezza dello studio applicato, oppure portare argomentazioni difensive generiche o un mero elenco di circostanze che potrebbero aver inciso sul buon andamento dell’attività. Al contrario, il contribuente deve addurre elementi certi e convincenti a suo discarico e dare una critica dimostrazione delle concrete implicazioni che tali eventi hanno cagionato in termini di minori ricavi/compensi e minor reddito rispetto ai risultati dello studio di settore. Ne sono un esempio le seguenti sentenze. Cassazione n.22555 del 05/11/2010 nella quale è stato ritenuto superficiale il richiamo ad una patologia in quanto la certificazione medica non indicava in quale misura e sulla base di quali parametri la stessa riducesse notevolmente l’attività lavorativa. Cassazione n. 19754 del 17/09/2010 nella quale l’intervento chirurgico al quale è stato sottoposto il contribuente può costituire motivo di inapplicabilità degli studi di settore, a condizione che il medesimo dimostri l’incidenza che tale evento ha avuto sulla capacità reddituale, non rilevando il fatto in sé, ma la durata delle conseguenze e, eventualmente, l’inabilità al lavoro provocata. Nel caso di specie, è stato ritenuto corretto l’operato del giudice di secondo grado che, condividendo le ragioni dell’ufficio, ha ritenuto che la documentazione prodotta non fosse sufficiente a dimostrare che la prognosi dell’intervento avesse reso impossibile il regolare svolgimento dell’attività. CTP Brindisi n. 55 del 6/03/2013; C.T.P. di Mantova, Sez. V, Sentenza dell’8/07/2005, n. 62 .
L'invalidità può essere un elemento sufficiente ad inficiare l’applicazione dello studio di settore. Al contribuente affetto da invalidità non si applicano gli studi di settore come stabilito dalla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale CTR Liguria n.40/13/12 del 9/05/2012 . Ancor di più se, come si legge nelle conclusioni della sentenza dei giudici genovesi, “l’Ufficio era a conoscenza della particolare condizione del signor (...) (invalidità al 56%). L’esistenza di una situazione di invalidità di tale misura non permette di considerare le capacità produttive del soggetto secondo criteri standard statisticamente determinati. Se si considera poi che i ricavi statistici si discostano dai dichiarati in misura modesta (16%), appaiono, nella specifica situazione, veritieri i ricavi dichiarati, infondato perciò il maggior accertamento e da riformare la sentenza impugnata”.
Da tutto questo si comprende bene come sia il contribuente a dover provare il suo stato di salute a dimostrazione della limitata capacità lavorativa (e quindi reddituale) con idonea certificazione medica e che quindi l'esonero in caso di malattia non sia automatico. Questo purtroppo mi ricorda troppo le visite presso la commissione medica relative alle domande all'Inps di Invalidità Civile e di Assegno Ordinario di Invalidità. Non sai mai come ti va. Per il lavoratore autonomo rimane quindi un'incognita ed una spada di Damocle sulla testa. Tanto, che vuoi, di pensieri, se è stato colpito da una malattia grave e prolungata, non ne ha abbastanza.
Ecco inoltre un interessante prontuario sulla Strategia difensiva contro gli studi di settore nel quale tra le possibili cause di esclusione dagli studi di settore si può provare ad addurre: gravi motivi di salute attestati da ricoveri ospedalieri, cure e periodi di riabilitazione; stato di depressione; ricezione di aiuti economici da parte di familiari (prediligete quindi bonifici al ricevimento di contanti).
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