giovedì 24 aprile 2014

Ma chi sono questi lavoratori autonomi?: qualche dato al di là degli stereotipi

Ogni volta che sento parlare del lavoro autonomo da chi lavoratore autonomo non è, vengono fuori un sacco di stereotipi, informazioni mancanti, verità assolutamente infondate, una fotografia complessivamente molto "vecchia": ricchi, evasori, false partite iva.  Dobbiamo quindi fare un pò di chiarezza anche per capire meglio chi sono veramente questi lavoratori autonomi e cosa può quindi succedere se questi si ammalano gravemente.


In Italia, circa un quarto dell’occupazione (24%) è composto da lavoratori autonomi, pari a 5,7 milioni di persone: una quota quasi doppia della media dell’Unione Europea. Questi lavoratori sono cambiati moltissimo negli ultimi dieci anni. I lavoratori in proprio tradizionali hanno gradualmente lasciato il posto a professionisti, tecnici del terziario avanzato, piccoli imprenditori forniti di elevato know-how tecnico, lavoratori manuali dei servizi a basso costo. I lavoratori autonomi si sono individualizzati (quasi tre quarti operano su base individuale), femminilizzati (la quota femminile si sposta dal lavoro familiare a quello professionale), istruiti e ringiovaniti.

Per gli amanti dell'immagine e della comunicazione video, un ottimo servizio che fotografa il lavoro autonomo specifico dei "nuovi" freelance

Ecco alcune riflessioni tratte da un quotidiano on line (luglio 2012)
Lavoro autonomo: chi darà voce a questi invisibili? di Costanzo Ranci

In linea generale, le differenziazioni interne a questo mondo sono aumentate fortemente, provocando una progressiva dualizzazione del lavoro autonomo. Da un lato, si collocano i grandi professionisti già affermati nel loro mercato di competenza, i piccoli imprenditori di successo, i nuovi tecnici operativi nei settori emergenti. Questi godono di redditi e patrimoni elevati, accresciuti grazie a regimi contributivi e fiscali assai compiacenti. Dall’altro lato, emergono i nuovi professionisti del terziario avanzato esposti a una forte competizione, i piccoli commercianti e gli artigiani che operano in settori o territori sempre più di nicchia, la massa crescente dei lavoratori autonomi con mansioni fortemente manuali, vittime delle esternalizzazioni cominciate negli anni Novanta. 
I dati sul reddito e sui consumi rispecchiano questa polarizzazione crescente. Gli indici di diseguaglianza all’interno e tra le categorie degli autonomi sono molto più elevati che tra i dipendenti, e sono in costante crescita. Una delle conseguenze è che, unitamente ai lavoratori autonomi ricchi, convive una quota considerevole di persone a rischio di povertà. Basti pensare che, in base ai dati di Banca d’Italia, ben il 27% dei lavoratori autonomi (con l’esclusione di grandi imprenditori e professionisti) ha un reddito equivalente inferiore al 75% del reddito mediano totale, ovvero è in una posizione a forte rischio di povertà. Si tratta di un fatto nuovo che indebolisce la rappresentazione, emergente proprio sul finire degli anni Novanta, dell’esistenza di un “popolo delle partite Iva” dotato di omogeneità di condizione e unitarietà di interessi.
È cresciuta intanto anche l’area grigia posta tra autonomia e dipendenza. Ben il 22% dei lavoratori autonomi (1,1 milioni) sono mono-committenti, e quasi il 40% (1,6 milioni) ha vincoli di orario o luogo. La massa di lavoro autonomo posto a cavallo tra indipendenza e dipendenza è impressionante. È lo specchio di un nuovo mercato del lavoro fondato su transizioni, frammentazione produttiva, nuove forme di organizzazione e di impresa; nuove forme contrattuali. Ed è qui che si colloca gran parte della vulnerabilità occupazionale su cui le forme attuali di protezione sociale non sono in grado di intervenire.
Oggi vengono chiesti ai lavoratori autonomi, così come agli altri lavoratori, sacrifici e maggiori contribuzioni fiscali e previdenziali, ma in cambio di cosa? Nel mondo delle partite Iva si oscilla oggi tra un sentimento di forte estraneità rispetto allo Stato, a visioni più sistemiche fondate sulla proposta di una rappresentanza conferederata oppure trasversale a quelle tradizionalmente di tipo corporativo. Il nodo della rappresentanza degli interessi di questa parte sociale è decisivo nel futuro: chi darà voce a questi piccoli invisibili?

E infine l'articolo de L'Espresso
Come cambia il popolo delle partite Iva
di Michele Azzu (aprile 2014)

In tempi di 'Jobs Act' si riparla dei problemi dei lavoratori indipendenti. Che non ci stanno a ricadere nello stereotipo del piccolo evasore. Perché nella maggior parte dei casi non possono evadere nulla. Anzi, lavorano spesso in monocommittenza, soffrono in sistema degli acconti e restano senza tutele.
Precari o evasori? Parlare di partite Iva oggi non sembra essere più semplice come negli anni ’90. Ci hanno provato di recente i sindacati: per la Camusso si tratta di “evasori”, Bonanni cerca di intercettare la platea lanciando uno sfortunato hashtag su twitter e proponendone la “regolarizzazione”.
Dopo l’approvazione il 20 marzo del decreto sul Jobs Act di Matteo Renzi, con gli interventi sui contratti a termine e apprendistato, in realtà il tema della partite Iva è tornato alla ribalta. A cominciare dal bonus annunciato di 80 euro in busta paga ai dipendenti. «Anche il lavoro indipendente deve beneficiarne», propone sul proprio sito l’Acta, associazione del terziario.
Il ministro del lavoro Poletti si è espresso in merito: «I precari veri sono le partite Iva fasulle», ovvero quei lavoratori autonomi che svolgono mansioni da dipendente, con orari e postazione fissi, con un unico datore di lavoro. La liberalizzazione dei contratti determinati contenuta nel Jobs Act dovrebbe portare, secondo il ministro, alla diminuzione di questi abusi: l’azienda non ti costringerà più ad aprire la partita Iva per non pagare i contributi se può prenderti per 3 anni a tempo determinato.
Eppure, la materia è complessa. E le considerazioni di Poletti non sembrano cogliere il punto: la natura della partita Iva è cambiata nel corso dell’ultimo decennio. Dopo la proliferazione che ha portato a includere nella categoria anche infermieri, dottori, parrucchieri, giornalisti e perfino qualche bagnino. E sono ormai in molti a pensare che questo cambiamento debba portare a una riforma della categoria. Anzitutto sul regime contributivo.
«Col livello di tassazione attuale non 
auguro a nessuno di aprire partita Iva in questo momento», spiega Denise, che ha 32 anni e lavora come infermiera. «Pago acconti tra il
 100 e il 102%, praticamente quello che dovrei pagare viene raddoppiato. E l'Inps è troppo alto». E senza nessuna possibilità di fare nero: «Lavoriamo per imprese, enti pubblici, terzo settore: non possiamo che fatturare tutti i nostri servizi», precisa l'Acta.
Forse è arrivato il momento di distinguere fra partite Iva. Proviamo con tre categorie: 1) Imprenditori e professionisti. 2) I lavoratori indipendenti, principalmente iscritti alla gestione separata, che lavorano spesso in monocommittenza. 3) Le false partite Iva. È la seconda categoria ad interessarci: «Non siamo false partite Iva, ma veri lavoratori indipendenti», scrive ancora l'Acta. «Con una pressione fiscale analoga a quella dei dipendenti, ma senza le tutele. Siamo oltre un milione e mezzo». E tra questi sono molti i giovani.
Nel 2013 si sono aperte 527mila nuove partite Iva (cifra simile nel 2012, con un calo del 4.4%). Di queste il 78.4% sono relative a persone fisiche (partite Iva individuali) e il 50% è costituito da giovani sotto i 35 anni. Considerato il tasso di disoccupazione giovanile del 42.2% si tratta di numeri considerevoli.
«Ho aperto la partita Iva 2 anni fa», racconta Giancarlo, che ha 29 anni e fa il grafico. «Col regime dei minimi per i giovani non è male, tra Inps e Irpef pago in tutto il 33% di tasse. Ma il primo anno mi hanno massacrato gli acconti». Il sistema degli acconti, infatti, penalizza proprio chi ha ha appena iniziato a lavorare: «Lavori. Paghi le tasse l'anno successivo» continua Giancarlo «Ma a dicembre ti trovi a dover anticipare anche le tasse dell'anno che verrà, e per chi si trova all'inizio questo significa pagare 2 anni di tasse su uno di lavoro, mentre gli anni successivi il problema si risolve dato che sulle tasse da pagare si sconta l'acconto pagato l'anno precedente».
Mentre le stime sindacali concordano nel conteggiare le false partite Iva come il 10% del totale (500mila), sarebbe il 20% l’area del lavoro indipendente. Tra un milione e un milione e mezzo di persone. Questa categoria includerebbe tutti gli iscritti alla gestione separata dell’Inps, ma non solo: 300mila partite Iva, 650mila co.co.pro e 50mila co.co.co. Categoria su cui l'Inps pesa per il 28% ma che con la Riforma Fornero dovrebbe arrivare al 34% nel 2019.
«Le Partita Iva sono la cassa dello stato», dice Gianni che ha appena compiuto 40 anni e fa il fotografo. «I minimi sono impossibili da sostenere» continua «e fuori dai minimi la pressione fiscale a conti fatti rappresenta oltre il 70% del fatturato. Lo Stato mi suggerisce che è meglio lavorare di meno, guadagnare poco e vivere con niente». Il problema è reale: per mantenere il regime dei minimi e pagare 28% di Inps e 5% di Irpef bisogna mantenere un reddito sotto la soglia di 30mila euro lordi l'anno. 

Insomma, da una parte gli imprenditori che possono evadere. Dall'altra precari in regola, non finte partite Iva, ma lavoratori indipendenti con poca autonomia gestionale (e di cassa) che difficilmente potranno essere commutabili in co.co.pro. E su cui si potrebbe intervenire. Le proposte avanzate finora per la regolarizzazione o tutela delle nuove partite Iva, sono principalmente due, come riportato anche dalla Cisl: taglio dell’Inps e salario minimo. Se l’Inps fosse equiparato a quello dei lavoratori dipendenti  (la cui aliquota media a carico della ditta equivale al 32.70% ma quella a carico del dipendente è solo del 9.2%) sarebbe molto diverso.
Poi, il salario minimo. È questo il punto fondamentale (ma meno immediato di un taglio dell'Inps), perché una partita Iva dovrebbe essere pagata di più dovendosi pagare da sola tutti i contributi. Un emendamento del Ddl Fornero portava a 18mila euro lordi l’anno la soglia per distinguere una vera partita Iva da una falsa (nel caso specifico di prestazioni lavorative connotate da competenze teoriche o pratiche di grado elevato). È questa una buona soglia da tenere in considerazione per la costituzione di un salario minimo. 
 

3 commenti:

  1. Perché le partite iva pensano “QUESTO È UN AMBIENTE OSTILE IN CUI DOVERSI DIFENDERE DA SE?

    Le partite IVA sono lavoratori che debbono prendersi cura/carico del loro futuro in un ambiente che è loro ostile o alla meglio disposto a sfruttarle, raggirarle, usarle, obbligarle, formarle, basta che ci siano e permettano un po’ di movimento. Lavoratori autonomi? Liberi professionisti? Concetti ampiamente da ridisegnare nel loro reale significato, se si ha un po’ di amore per il significato della parole e se si vuole essere coerenti.
    Per l’agenzia delle entrate e per l’opinione pubblica (stando a quello che dicono i mas media) sono quelli che evadono. Sono i furbetti, quelli che hanno redditi da capogiro e li occultano, perciò sono colpevoli.

    Poi si sente in giro da chi opera in quell’ambito che sono i più sfruttati dai loro committenti proprio perché non ci sono tutele, c’è solo un rapporto che riescono a negoziare, con gente che conosce benissimo il contesto economico e che non da’ molte alternative, probabilmente perché arrivano proprio dalla stessa stazione, appena superata. Se poi pensiamo agli ordini professionali o alle associazioni di categoria, invece di tutelarle queste partite iva, si scopre che il loro compito è di tutela del consumatore (si proprio quello che si stà riducendo ai minimi storici, ma mica per le angherie subite dalle partite iva).

    E’ vero nasce la necessità di una tutela delle categorie autonome, che non hanno alcun interlocutore per le loro lamentele rispetto ai loro committenti/clienti o rispetto al trattamento ricevuto, sia in ambiente privato sia in ambito pubblico. Hanno solo due vie per difendersi:
    - farsi ascoltare dalla politica quando riescono a raggrupparsi ed a condividere dei temi o
    - diventare talmente grandi da poter schiacciare l’interlocutore che tende a prevaricare, sia esso privato sia esso pubblico.

    Tutto ciò non è democrazia civile, forse è proprio il simbolo della guerra tra potenze, che vige nella società Italiana e che chiede adeguamento e sottomissione alle esigenze che imperano (forse dello stato ciclope) senza voler dare garanzie.
    QUELLO A CUI CI RIFERIAMO È UN AMBIENTE OSTILE IN CUI BISOGNA SALVAGUARDARSI.
    Ecco svelato perché le partite iva pensano “Questo è un ambiente ostile in cui doversi difendere perché non lo fa nessun altro e solo tu sai il valore della tua vita”.

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  2. perchè trascurate le false partite iva? sono quelle le più massacrate

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  3. quell'ate dovrei capirlo. Io non rappresento nessuno se non me stessa. Il problema delle partite iva esiste eccome ma purtroppo dal punto di vista mediatico, sindacale e politico è un fenomeno che tende ad essere enormemente ingigantito rispetto ai reali professionisti autonomi in termini di numeri. Sono due popolazioni molto diverse come caratteristiche di lavoro e di fondo le false partite iva non vorrebbero essere autonomi ma dipendenti, mente i professionisti reali hanno scelto di essere partite iva. La tendenza diffusa è quella di equiparare tutti inglobando anche i professionisti nelle false partite iva e questo è pericolosissimo. Detto questo qualsiasi cosa sia scritto su questo blog sul rapporto tra malattia e partita iva vale per le reali come per le false......

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