Lo schock post-diagnosi con relativa fase di rincoglionimento, confusione ed estraneazione non è durato moltissimo. Sarà che, essendo in una situazione di emergenza particolare dovuta all'interazione contemporanea di più fattori (malattia, essere rimasta sola, problemi lavorativi ed economici), o mi attivavo svegliandomi e dandomi una mossa da brava paziente propositiva o tutta 'sta roba mi avrebbe spiaccicato come quei porcospini che provano ad attraversare la strada.
Questo post è indirizzato ai pazienti ma tutto sommato anche ai dottori perchè, come suggerisce il dott.Malpani, anche i medici dovrebbero sfruttare la propositività e l'intelligenza dei propri pazienti contenendo il timore di quello che può succedere di fronte ad un malato che non pende dalle loro labbra.
Secondo la dott.ssa Gisela Perren Klingler, psicoterapeuta e psichiatra dell'Institut Psychotrauma Svizzero di Visp, ogni paziente dovrebbe sviluppare self-empowermnet e autoresponsabilità. I fattori che seguono, secondo me, dovrebbero essere presi in considerazione non solo dai medici che ci curano, ma da noi pazienti in primis in modo da poterli motitorare ed alimentare per gestire al meglio la nostra malattia.
Formulazione dell’obiettivo terapeutico. L’obiettivo va formulato verbalmente in maniera positiva: ad esempio vanno sostituiti concetti come “combattere il cancro“ con “gestire la qualità della propria vita dopo l'intervento”. Esso deve essere formulato in maniera chiara ed essere controllabile sulla base dell’evidenza. Il suo raggiungimento deve essere un’esperienza comune (si vede, si sente, si percepisce, in taluni casi di respira e si assapora). L’obiettivo deve essere in linea con l’ecologica individuale e sistemica, (con i propri valori) e rientrare nell’ambito della fattibilità individuale e sistemica. Il consenso informato del paziente è strettamente legato alla formulazione dell’obiettivo ed è parte integrate di ogni forma di “medicina umana”. Ritengo questo aspetto meno banale di quanto sembri. Non è così scontato quale sia l'obiettivo terapeutico per un paziente. Per alcuni, per esempio, può essere "vivere ad ogni costo e fare qualsiasi cosa pur di aumentare le possibilità di sopravvivenza". Per altri, invece, può essere "mantenere elevato il livello della qualità della propria vita" (anche a costo di ridurla in termini temporali). Esiste un obiettivo più giusto o legittimo di un altro?. La domanda è ovviamente retorica.
Manageability. L’accento va posto sulle possibilità di controllo da parte del paziente o sulla sua autoresponsabilità in riferimento alla sua salute/malattia (cosa posso e/o o vorrei fare per me stesso, che cosa voglio controllare e come, che tipo di aiuto voglio, cosa è importante per me). La malattia di per sè innesca tutta una serie di meccanismi di incertezza e percezione di perdita di controllo. E' essenziale quindi, che come malati riusciamo ad introdurre aspetti invece in cui siamo protagonisti. Le scelte terapeutiche, per esempio, possono aiutarci molto ad essere attori e non comparse manovrate da altri.
Capire. Il paziente ha diritto ad informazioni chiare (adeguate alla sua capacità di comprensione) in merito a prevenzione e terapia. Non è sufficiente che un medico chieda “Ha capito?“. E’ più giusto che chieda “Che cosa ha capito?”.
Meaning. La ricerca del significato è un processo che non ha mai fine: l’importante non è chiedersi: “Perché è successo?“, ma piuttosto “A che cosa può servire questa esperienza?“ una domanda che può essere posta da chi presta aiuto, ma alla quale in definitiva solo i diretti interessati potranno trovare una risposta. L'attribuzione di senso è un aspetto importantissimo nella vita in generale, figuriamoci se non lo è nel gestire la propria malattia. L'obiettivo non è voler vedere a tutti i costi la "positività" di un cancro, ma positivo o negativo che sia (è una falsa domanda questa) cercare di capire cosa posso farci io, adesso che me lo sono beccato.
Manageability. L’accento va posto sulle possibilità di controllo da parte del paziente o sulla sua autoresponsabilità in riferimento alla sua salute/malattia (cosa posso e/o o vorrei fare per me stesso, che cosa voglio controllare e come, che tipo di aiuto voglio, cosa è importante per me). La malattia di per sè innesca tutta una serie di meccanismi di incertezza e percezione di perdita di controllo. E' essenziale quindi, che come malati riusciamo ad introdurre aspetti invece in cui siamo protagonisti. Le scelte terapeutiche, per esempio, possono aiutarci molto ad essere attori e non comparse manovrate da altri.
Capire. Il paziente ha diritto ad informazioni chiare (adeguate alla sua capacità di comprensione) in merito a prevenzione e terapia. Non è sufficiente che un medico chieda “Ha capito?“. E’ più giusto che chieda “Che cosa ha capito?”.
Meaning. La ricerca del significato è un processo che non ha mai fine: l’importante non è chiedersi: “Perché è successo?“, ma piuttosto “A che cosa può servire questa esperienza?“ una domanda che può essere posta da chi presta aiuto, ma alla quale in definitiva solo i diretti interessati potranno trovare una risposta. L'attribuzione di senso è un aspetto importantissimo nella vita in generale, figuriamoci se non lo è nel gestire la propria malattia. L'obiettivo non è voler vedere a tutti i costi la "positività" di un cancro, ma positivo o negativo che sia (è una falsa domanda questa) cercare di capire cosa posso farci io, adesso che me lo sono beccato.
Anche il sociologo della medicina Aaron Antonovsky (1923-1994)
incontrando in Israele alcuni superstiti dell’olocausto (persone di
oltre 60 anni, ancora integre sotto il profilo psicofisico) evidenziò i
fattori che avevano consentito a queste persone di sopravvivere
all’orrore: la sensazione di poter esercitare un controllo
(anche se avviene in maniera molto ridotta o solo nella
fantasia del singolo, poter esercitare un certo controllo, in maniera
soggettiva, è fondamentale nelle situazioni estreme o difficili); la comprensibilità: chi capisce che cosa gli sta accadendo riesce ad affrontare meglio le situazioni più difficili; l'attribuzione di un significato (meaning).
Data l'importanza di essere un soggetto attivo nella gestione della propria malattia, eccoti allora una guida pratica ed operativa, una sorta di vademecum per essere un paziente attivo. A me ha aiutato moltissimo fare molte di queste cose (e tuttora mi è di supporto).
- Tieni un diario schematico sulla storia clinica della tua malattia con date e note (interventi chirurgici, medicazioni, terapie, risultati, controlli esami diagnostici e visite....)
- Costruisci la tua cartella clinica in modo da conservare e tenere ordinate tutte le informazioni utili. Porta con te, in occasione di visite ed esami diagnostici, la tua cartella clinica. La mia è un pò speciale......
- Richiedi copia (o falle tu) di alcuni fogli che magari potrebbero ritirarti (senza lasciarti niente in mano)
- Tieni d'occhio i tuoi sintomi prendendo appunti sul loro decorso.
- Utilizza vari modi (libri/riviste, internet, relazioni, social network, forum e gruppi di discussione) e fonti diverse (medici, altri malati come te) per procurarti informazioni.
- Procurati un glossario inerente la tua malattia da consultare quando non conosci il significato di alcuni termini usati dai medici e scritti nei referti degli esami.
- Conserva il tuo spirito critico soprattutto nei confronti di informazioni provenienti da fonti incerte, confronta ed incrocia le informazioni che raccogli, usa il buon senso e pensa con la tua testa.
- Procurati studi clinici specifici in riferimento alla tua malattia e valuta la possibilità di partecipare come paziente ad uno di questi studi.
- Prima di visite, esami, consegne referti, appuntati le domande che vuoi fare.
- Valuta se è il caso di farti accompagnare a visite ed esami (anche solo alcune) da una persona fidata in base al tuo stato di salute psico-fisica (se non sei lucido potresti perderti "pezzi" importanti).
- In tema di possibili terapie, chiedi informazioni specifiche circa le probabilità di successo, i rischi, gli effetti collaterali, la durata della cura, le prescrizioni per l'uso di medicinali, le controindicazioni, il comportamento da tenere in caso di intolleranza, le possibilità di cure alternative, eventuali studi clinici, la possibilità di attendere gli sviluppi della malattia e osservarne i sintomi invece di iniziare subito la cura, eventuali possibilità terapeutiche complementari (ad es. servizi di appoggio psico-oncologico), i costi da sostenere in prima persona ed eventuali rimborsi.
- Non farti pressare troppo nell'accettare una determinata terapia. Concediti tutto il tempo necessario per prendere la decisione che ritieni giusta per la tua situazione (ti conosci meglio di chiunque altro, compresi i medici).
- Chiedi approfondimenti su ciò che non capisci: ricordati sempre che hai il diritto di farti spiegare tutto in un modo a te comprensibile.
- Chiedi un riferimento telefonico del medico, del reparto, del settore da contattare in caso di necessità.
- Richiedi materiale informativo ai medici che ti hanno in cura.
- Valuta la possibilità di partecipare ad un gruppo di supporto tematico rispetto alla tua patologia ed informati su gruppi/associazioni che operano nella tua città. Il confronto con agli altri che hanno vissuto la tua stessa esperienza è non solo un elemento di conforto ma anche una ricca fonte informativa.
- Prendi in considerazione la possibilità di consultare anche un altro medico e mettine al corrente il tuo medico di fiducia. I medici professionali non devono sentirsi minacciati da questo.
- Fai sapere al tuo medico quanto sei soddisfatto della sua consulenza (sia dal punto di vista relazionale/umano che da quello tecnico). Se il tuo medico non ti soddisfa non avere paura a prendere in considerazione l'idea di cambiarlo.
Ma occhio anche alle controindicazioni ed agli svantaggi.....
Chiediti di quanta autoresponsabilità ed informazioni puoi caricarti senza procurarti pressioni eccessive (solo tu ti conosci e puoi rispondere) .
Potresti decidere che per la tua salute soprattutto psichica ha bisogno, magari anche solo in alcune fasi della malattia, della passività più assoluta. Ok, va bene così. Se lo senti come un tuo bisogno, se ti sei ascoltato ed è quello che vuoi, sicuramente sarà la strategia più efficace per te in quel momento.
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