lunedì 29 ottobre 2018

Cancro al seno tra auto-narrazione individuale e responsabilità sociale

Per capire il perché di tanta indignazione da parte di Afrodite K (e di moltissime altre donne) rispetto all'attuale narrazione del cancro al seno, occorre distinguere tra l'auto-narrazione individuale e quella sociale. Come il singolo vive la propria malattia è assolutamente da rispettare e intoccabile, come i soggetti istituzionali la comunicano e la gestiscono, no!

Ogni credenza individuale rispetto alla malattia, in quanto personale, è legittima
Individualmente posso anche decidere che per me (in base a chi sono, ai miei bisogni, al percorso di vita che sto facendo) è utile voltarmi dall'altra parte, non sapere certe cose, selezionare cosa sapere e cosa no prefigurandomi il mio film personale sul cancro al seno. Perfetto. Come necessità individuale è assolutamente legittima e da rispettare. Intoccabile. Punto.
In tutti questi anni più volte mi è capitato di fermarmi e fare un passo indietro rispetto a donne ammalate di cancro al seno che mi facevano capire, più o meno direttamente, che avevano bisogno di gestirsi la malattia a modo loro, magari decidendo di credere a qualsiasi cosa le facesse sentire meglio. No problem, ognuno decide cosa gli è più utile per sopravvivere al meglio.
Chi sono io per dire a qualcuno quale deve essere la sua visione della realtà e della sua malattia?
PS Che poi il comportamento individuale abbia, in ogni caso, anche una valenza e un impatto sociale, è un altro post...

La comunicazione e il comportamento istituzionale, no! 
Il problema nasce quando un'istituzione medica, un'associazione di malati, singoli medici, il governo, i media veicolano informazioni false o filtrano i dati per far passare messaggi rassicuranti e "normalizzanti" su quella che è epidemia ben lontana dall'essere arginata.  Il problema nasce quando proprio chi è deputato a fornire informazioni veritiere e realistiche, mi prende in giro. Allora no, questo non è intoccabile. Occorre indignarsi, denunciare, ribellarsi. Fosse l'istituzione più accreditata di questo mondo, non le possiamo permettere di prendere in giro le donne a rischio di ammalarsi e quelle già ammalate.

C'è il pericolo di creare allarmismi?
Il cancro al seno è un'epidemia. L'allarme c'è già. Da decenni se ne parla, da decenni si fanno raccolte fondi per la ricerca. E' servito a qualcosa? Se ne sono comprese le cause? Si sta davvero facendo tutto il possibile in termini di prevenzione primaria (perché il cancro al seno non si sviluppi)? Il cancro al seno sta forse diminuendo? Direi proprio di no.
A livello istituzionale quindi si ha il dovere di dirlo e di diffondere dati realistici.
State tranquilli (e so quel che dico) che comunque ogni persona, malata o meno, individualmente deciderà cosa vuol sapere e cosa no, arrivando persino a negare l'evidenza se questo l'aiuta a stare più tranquilla o a gestire una malattia in corso. Conosco moltissime persone ammalate ed è quello che vedo fare. Chi non se la sente si volta dall'altra parte e te lo fa capire, chi invece vuol sapere e approfondire, cercherà e ascolterà le informazioni di cui ha bisogno.
In questo modo ci assumiamo la responsabilità sociale di informare, rispettando nello stesso tempo il bisogno del singolo di "non sapere".

La narrazione che viene fatta del cancro al seno si snoda quindi tra l'auto-narrazione (e la conseguente gestione) che ognuno personalmente ne fa e la narrazione sociale/pubblica.

È possibile portare avanti un'autonarrazione positiva, serena, tranquillizzante che nutra la speranza insieme ad un atteggiamento socialmente critico e ad un impegno attivo fatto di indignazione, informazione, azioni di protesta?

Queste due anime possono coesistere e convivere? 
Il fatto che si possa (e sia necessario aggiungo io) trattare il cancro al seno come una questione sociale, impegnandosi socialmente, indignandosi e protestando rispetto a certe cose che accadono o certe informazioni false o fuorvianti che vengono veicolate non entra in contraddizione o non impedisce di vedere e vivere "individualmente" la malattia con animo positivo, sereno, come una grande opportunità di crescita. La risposta è sì.

Io ne sono da anni l'esempio vivente. Una donna con una diagnosi di cancro al seno positiva, solare, costruttiva e piena di speranza. Nello stesso tempo moooolto arrabbiata e indignata per come viene gestita l'informazione e l'azione da parte di chi dovrebbe occuparsi di debellare questa malattia e/o relazionarsi con le persone ammalate.

E non sono sola.
Le parole incisive di Nunzia, una delle componenti del Comitato "Oltre il nastro rosa" di cui faccio parte, lo testimoniano perfettamente: "Non dico la verità per uccidere la speranza, al contrario lo faccio per tenerla alta, perché spero si possa fare sempre di più, perché, sul cancro al seno, l’informazione è veicolata da un ottimismo bugiardo che si dimentica di me"




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