martedì 30 ottobre 2018

Cancro al seno: Lettera Aperta a "La Vita in Diretta"

Questo ottobre 2018 è terminato. E con sé porta via anche l'Ottobre Rosa di quest'anno. Non porta via purtroppo la narrazione fuorviante che viene fatta del cancro al seno che ormai dura tutto l'anno. Per questo divulgo l'iniziativa che con il Comitato "Oltre il nastro rosa" abbiamo lanciato: una lettera aperta scritta in occasione del servizio andato in onda su La Vita in Diretta il 24/10/18 (dal minuto 01:17:00). La lettera ribadisce molte delle riflessioni e delle informazioni divulgate durante il Flash Mob organizzato il 13 ottobre a Milano.

LETTERA APERTA A "LA VITA IN DIRETTA"

Ottobre rosa: anche le TV si tingono di questo colore rassicurante e così, come per miracolo, il cancro al seno è guaribile e le donne sopravvivono imparando a vivere a pieno ogni cosa. Tutte sentono l'esigenza di raccontarsi affermando di essere state fortunate e di credere alla "prevenzione", anche se poi temono la morte (?). Marida Lombardo Pijola, giornalista attenta e impegnata, lo fa a "La Vita in Diretta" avallando, come molti, la visione ottimistica e di rivalsa rispetto al male, dimenticando la realtà del cancro che uccide. E questo anche se si è "fatta prevenzione"! Al di là degli schemi comunicativi ufficiali su questa patologia, abbiamo scritto una lettera aperta perché vogliamo che tutti riflettano e sperando di aprire un varco su una realtà volutamente non raccontata.
Diciamo la verità non per uccidere la speranza, al contrario lo facciamo per tenerla alta, perché speriamo si possa fare sempre di più, perché sul cancro al seno l’informazione è veicolata da un ottimismo bugiardo che si dimentica delle donne

Comitato "Oltre il nastro rosa"
oltreilnastrorosa@gmail.com
Enza Bettinelli - Valentina Bridi - Grazia De Michele - Valeria Di Giorgio - Nunzia Donato - Daniela Fregosi - Camilla Gandolfi - Letizia Mosca - Angelica Perrone - Vania Sordoni

Cara Marida Lombardo Pijola,
nella sua intervista a “La Vita in Diretta” del 24/10/18, oltre a vederla visibilmente commossa, l’abbiamo sentita parlare di paura della morte. Perché? Ci sorge spontanea la domanda... visto che è stato affermato che di cancro al seno non si muore, lei stessa lo testimonia, col suo invito alla resilienza… come se fosse scontato che si abbia la possibilità di rialzarsi e ricominciare a vivere lasciandosi tutto alle spalle, o quasi… come se fosse scontato che dopo un anno da incubo tra cure varie, poi si possa riprendere la propria vita… Se la situazione è questa, cosa ha da temere?
Se una persona come lei, giornalista impegnata, colpita da cancro al seno si reca in TV a diffondere questo tipo di messaggio (di resilienza e non di resistenza, differenza sottile ma importante) perché poi parla di paura della morte? Se avesse voluto fare informazione reale e non solo “testimonianza ottimista”, avrebbe dovuto dire che ha paura di morire perché di cancro al seno non si guarisce mai o quasi mai!
Secondo il rapporto Aiom-Artium 2018 solo dopo i vent’anni dal tumore primario si può parlare di rischio uguale alle donne non colpite da cancro al seno (e infatti una donna su tre non guarisce, ma diventa metastatica).
Avrebbe dovuto dire che potrebbe ancora capitarle, per questo, giustamente, ha paura!
Avrebbe dovuto dire che può capitare anche a chi ha scoperto il cancro al seno “in tempo”, e non in stadio avanzato come nel suo caso.
Avrebbe dovuto dire che quella donna intervistata allo IEO, malata dal 2008, fa chemioterapia ancora oggi perché è metastatica e che non guarirà!
Avrebbe dovuto dire che è ingiusto che una giovane donna sia accompagnata dalla madre anziana a curarsi e che questa purtroppo, non è una cosa poi così rara.
Avrebbe dovuto dire che il 30% delle donne a cui è stato diagnosticato un cancro al seno sviluppa metastasi, anche a distanza di tempo. Che 33 donne al giorno muoiono di tumore al seno metastatico, e fanno 1000 al mese, 12000 l’anno, ma che di loro non si può parlare in TV.
Una nostra amica era stata contattata dalla giornalista Mara Pannone ma poi non è stata intervistata. Lei è una metastatica, ha 37 anni e sta morendo, come altre 37 mila donne in Italia, che sono al IV stadio della malattia, quello terminale.
Ciò che a lei fa tanta paura, per molte donne è realtà, quotidianità, lotta continua. Eppure sono guerriere solo le donne che sopravvivono, le “sorelle” come le ha definite, solo loro sono messe sotto l’attenzione dei media, le altre no.
Se lo chiede perché? O forse lo sa già… Se lo è mai chiesto se essere ottimisti e "normalizzare" questa malattia non produca il pericoloso risultato di far abbassare la guardia dell’opinione pubblica sulla ricerca e sui bisogni delle donne con cancro al seno metastatico?
Le sembra giusto che sia così? Che non abbia attenzione proprio chi avrebbe più bisogno di soluzioni?
I dati che le abbiamo scritto sul cancro al seno metastatico sono solo delle stime, quelle donne non sono neppure censite adeguatamente.
Per questo, e non solo, ci stiamo ribellando. Non abbiamo altro che le nostre idee e la nostra volontà per farlo, ma non desistiamo. Per ognuna di noi che ci lascerà lottando contro questa ingiustizia, si alzeranno tante altre donne che ora tacciono, citando il motto di un’associazione di metastatiche americane: “Stiamo morendo nell’attesa di una cura”.
Come Comitato "Oltre il nastro rosa" abbiamo cominciato a farci sentire (ci segua, se la cosa l’ha almeno un po’ toccata). Continueremo a farlo, per tutte le donne da noi ricordate,per le molte altre che non abbiamo conosciuto e che lasciano prematuramente famiglie e figli spesso piccoli, per chi è viva e si cura continuamente con la consapevolezza di non poter più guarire.
Noi vogliamo vivere, anche se molte di noi non hanno più paura della morte, avendo già visto il peggio della vita.

1 commento:

  1. Bellissima la lettera.
    Mi è stato diagnosticato nel 2016 un tumore al seno "in situ", e mi ero tranquillizzata perchè ormono-positivo, quando (dopo un anno) ho dovuto sospendere le cure anti-ormonali a causa di una grave depressione. Adesso convivo con la convinzione che, prima o poi, dovrò fare i conti con una recidiva.

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