lunedì 25 febbraio 2019

Le parole possono essere muri o finestre: il linguaggio distorto sul cancro

Le parole che utilizziamo costruiscono la realtà a cui ci riferiamo e il cancro non fa certo eccezione. Lo sottolinea anche un bell'articolo pubblicato da OncoLine su Repubblica.it "Il cancro è una battaglia e i pazienti dei guerrieri?". Come sottotitola la giornalista Magistroni "Spesso si parla di tumori usando metafore di guerra e delle persone malate come dei coraggiosi eroi o delle vittime. Non tutti però sono convinti che si tratti delle immagini giuste". Afrodite K non lo è affatto...
Anche senza scomodare la Programmazione Neurolinguistica e il modello della Comunicazione Non Violenta di Marshall, il peso delle parole e del linguaggio che utilizziamo è davvero noto e palese nell'esperienza quotidiana di ognuno di noi.

Ricordo che quando mi ammalai nell'estate del 2013 mi ritrovai sbalzata in un mondo ordinato e costruito a dovere nel quale tutto era decisamente pre-determinato attraverso una narrazione già ampiamente rodata. Una strada già lastricata con tutto ciò che andava pensato, desiderato, agito e.... parlato. Sì, anche le parole erano date. Il cancro era il BB (Brutto Bastardo), l'Intruso,  e le donne operate di cancro al seno erano tutte Guerriere combattive perché c'era da portare avanti, senza mai mollare, una vera e propria Guerra.
Lì per lì ero in ben altre faccende affaccendata e non mi misi da subito ad analizzare la questione, a metterla in discussione e a verificare quanto fosse aderente al mio sentire. Osservavo il tutto come un dato di fatto.
Nel tempo poi questa faccenda della battaglia da vincere e delle toste guerriere in trincea, cominciò a non andarmi più giù. Più che altro questa benedetta lotta contro il cancro io non l'ho mai sentita e ciò in cui mi impegnavo era ben altra battaglia, una lotta che avevo scelto io.
Come la giornalista di Repubblica, infatti, concordo pienamente sul fatto che "Parlare di guerrieri, di coraggio e a volte di eroismo - sostengono le persone affette da un tumore - può mettere in soggezione e a disagio, soprattutto chi ha appena ricevuto la diagnosi. L'idea di dover affrontare una sfida sottintende la possibilità di vincerla e quando si ha a che fare con un cancro non è così scontato: i tumori inguaribili, purtroppo, esistono ancora. E quindi, chi non sconfigge il proprio cancro è un perdente che non si è impegnato abbastanza?"

Ricordo quanto mi colpì lo splendido articolo di Peter B. Bach, un medico che aveva visto morire la moglie di cancro al seno tanto da tradurlo in italiano "L'appello di un medico: evitate la trappola della guerriera che lotta contro il cancro al seno".

Ricordo anche tutte le volte che sono stata attaccata per aver espresso la mia opinione in merito e sono consapevole di quanto il paradigma combattivo rosa sia dominante tanto da negare spesso il diritto di esistere ad altri tipi di vissuti tacciati di pessimismo cosmico porta-sfiga.

Ma le cose piano piano stanno cambiando. Moooolto lentamente devo dire, ma qualcosina rispetto al 2013 nel frattempo si è mosso.
Grazie anche ad articoli come quello di Repubblica, grazie a giornaliste coraggiose che, combattendo spesso con i propri editori, hanno scritto pezzi di denuncia.
E grazie soprattutto a donne, malate, blogger e attiviste che non lottano contro il cancro ma sono impegnate a scardinare ingiustizie e  stereotipi.



2 commenti:

  1. Concordo pienamente con te...basta con queste Guerriere:non lo siamo affatto, siamo solo donne che oltre a tutto il resto devono affrontare un percorso di vita durissimo e che non possono tirarsi indietro!

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  2. Appartenere ad un gruppo,comporta sempre una sorta di "omologazione".
    Ma l'appellativo guerriera, infastidisce anche me.
    Io ho avuto,paura, ero,terrorizzata,ma è l'istinto di sopravvivenza che ci fa andare avanti e che ci ha fatto accattare gli interventi.
    Dopo cinque anni,io mi sento solo donna, nè rosa nè guerriera

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