martedì 22 gennaio 2019

Cancro al seno: il corpo malato diventa queer

Ad ottobre 2018, nel pieno dell'Ottobre Rosa, la rivista Pasionaria pubblica l'articolo di Marti intitolato "Un corpo col cancro è un corpo queer". Introdurre e commentare un articolo del genere è davvero opera ardua, delicata e scottante. Quando l'ho letto ne sono rimasta letteralmente folgorata come sanno fare le cose veramente innovative, quelle che ti aprono la testa, tiran fuori tutto quel che c'è, lo shakerano e alla fine c'aggiungono pure un pizzico di follia. Alla fine ero lì a chiedermi chi era chi stava leggendo, chi era il soggetto che scriveva, chi erano gli spettatori e qual'era l'argomento centrale dell'articolo.

Dopo varie riletture l'impressione che ne è derivata si è fatta sempre più definita fino ad arrivare a:
  • rintracciare profonde similitudini nelle esperienze che avevo vissuto e che tutt'ora vivo io;
  • giungere ad un profondo senso di gratitudine per questo scritto così fuori dalle righe (visto che invece, in merito al cancro al seno, tutti si sperticano nell'incasellarti in righe predeterminate e precisissime).
L'aspetto più rilevante credo sia il fatto che chi scrive, Marti, si autodefinisce una soggettività non-binary e nel suo Blog dice di sè: "Tra femminile e maschile, m’aggroviglio. A tratti l’uno, a schizzi l’altro".
Si potrebbe quindi pensare, erroneamente, che il contenuto dell'articolo sia indirizzato esclusivamente a personaggi simili e quindi interessante solo per un determinato tipo di pubblico.
Invece no.
Io, ad oggi, mi sento decisamente "binaria", ma comunque aperta mentalmente (ho abbandonato l'idea che possano esistere verità assolute un sacco di tempo fa) eppure l'articolo mi sembra interessantissimo e mi ritrovo in una serie di questioni affrontate da Marti.

Non mi sono mai identificata con il mio seno e non l'ho mai reputato argomento particolarmente importante.
Non mi interessa la ricostruzione del seno e sono decisamente infastidita dal fatto che il mio corpo sia stato oggetto di tutta una serie di operazioni (preservazione di pelle e capezzolo, posizionamento di espansore sotto il pettorale, previsione di una ricostruzione) senza chiedere il mio parere dando per scontato il mio "naturale" desiderio di tornare come prima allo scopo di preservare la femminilità (secondo l'altrui definizione).
Anche io avverto il mio corpo attuale come "bizzarro" e convivo serenamente con questa stranezza. Una stranezza che mi rende paradossalmente libera di non dover aderire a qualcosa che "deve essere" e "deve tornare come prima".
Anche io mi riconosco in quell' "autopercezione di sé come un corpo portatore di una veridicità a se stante". Quale? La mia. Senza definizioni.

Grazie quindi a Marti per questo suo contributo che rappresenta, a mio parere, una voce diversa sul cancro al seno e configura il suo articolo non tanto come un articolo "queer" ma come uno sguardo "oltre".
E di sguardi "oltre" nella monolitica narrazione del cancro al seno, ce n'è bisogno eccome.


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