mercoledì 7 gennaio 2015

Partite iva e tutela della malattia: ma chi sono i professionisti freelance?

Per comprendere fino in fondo le problematiche che lavoratori autonomi, partite iva, professionisti e freelance hanno quando sono colpiti da una malattia grave e prolungata bisogna prima aver chiaro chi sono loro in quanto lavoratori. L'ignoranza sulle caratteristiche dell'attuale lavoro dei freelance di nuova generazione è il problema principale in questo momento. E' grazie a questa ignoranza che nascono leggi ed iniziative completamente starate rispetto alle effettive esigenze (vedi Jobs Act e Legge di Stabilità).

L'articolo "Italian freelance, futuro incerto" di @Riotta è molto interessante e mostra un'approfondita fotografia sui nuovi professionisti sia in Italia che all'estero. Estrapoliamo qualche riflessione.

Negli Stati Uniti il lavoro autonomo sta crescendo a ritmi sorprendenti. Questo quanto afferma la rivista Forbes, che ha sottolineato a più riprese il fenomeno tematizzando un possibile futuro del lavoro fatto prevalentemente di professionisti indipendenti. ..... Secondo una rilevazione di SAP e Oxford Economics, l’83% dei manager statunitensi dichiara che le proprie aziende stanno aumentano il ricorso a lavoratori freelance. Tendenza che porta addirittura a stimare che nel 2020 il 40% dei lavoratori americani sarà autonomo. Se ciò che succede oltreoceano è spesso considerato una probabile anticipazione del futuro globale, l’andamento del ricorso al lavoro autonomo è un attraente invito a immaginare una svolta generale nell’adattamento alla grande trasformazione del lavoro, sempre meno gerarchico e standardizzato. E in Italia? Al confronto con gli altri Paesi la serie storica dei dati Eurostat mostra il calo degli autonomi italiani, che però in termini assoluti compongono il popolo degli indipendenti più nutrito d’Europa. Non solo: anche in termini relativi si tratta di una categoria importante: sempre secondo l’Eurostat, nello Stivale la proporzione di lavoratori indipendenti sul totale dei lavoratori era del 23,3% nel 2013: una delle più alte dell’Unione. Secondo un ricerca condotta da Freelancer.com, uno dei siti di outsourcing più importanti in Italia, l’esternalizzazione è una scelta aziendale in costante crescita anche nel nostro Paese.....A fronte di una progressiva difficoltà a fronteggiare le diverse crisi aziendali aperte sul territorio nazionale, i dati sugli autonomi impongono una riflessione sull’efficienza dei modelli organizzativi del lavoro. Il ricorso al lavoro indipendente appare a molti come un metodo adeguato a rispondere alle rapide variazioni dei mercati. In quest’ottica si tratterebbe di una nuova e alternativa via all’impiego di contratti di parasubordinazione e instabili per rendere più flessibili i processi produttivi a seconda del fabbisogno di personale. Secondo una corrente di pensiero ormai diffusa risiede qui il futuro del lavoro, il cosiddetto lavoro 2.0, che supera l’impostazione gerarchica e standardizzata del modello fordista facendo della responsabilità individuale interconnessa il meccanismo di adesione alle fluttuazioni produttive. Ciò sta persuadendo molti dell’importanza del fenomeno, non solo per l’agilità organizzativa, ma anche per le competenze trasversali che i giovani freelance portano con sé. Sanno adattarsi alle nuove tecnologie, sanno rendersi disponibili con orari flessibili e a distanza, assicurando un miglior rispetto delle scadenze. Indipendenza, molta competenza e responsabilità. Ecco la chiave. Infine nella soluzione indipendente si intravedono anche le nuove basi per l’implementazione di modelli partecipativi più leggeri e liberi di quelli sviluppati sinora, senza grande successo, soprattutto in Italia. Che si accolgano o meno con interesse queste previsioni, il crescente favore con cui viene osservata la variegata categoria dei lavoratori autonomi è comunque significativo. Sembrano nascere ora le premesse per una nuova immagine collettiva dei liberi professionisti, tradizionalmente inquadrati nei tipi delle “falsa partite IVA” o dei “ricchi evasori”, e approcciati alla stregua della controparte imprenditoriale da parte dei sindacati. Si potrebbe auspicare anche qualcosa di più, ossia un cambio culturale rispetto alla consolidata concezione della flessibilità lavorativa, prevalentemente percepita come gioco di potere sulla pelle dei lavoratori e come adattamento al ribasso, rinuncia a diritti fondamentali. Nel fenomeno del ricorso al lavoro indipendente la flessibilizzazione è invece una risposta ai bisogni comuni all’interno di un impresa, bisogni di organizzazione e di competenze. Nonostante le potenzialità dello sviluppo di un lavoro dipendente regolare e di qualità, le normative italiane presentano numerosi elementi di difficoltà, introdotti anche di recente e perpetrati con il Jobs Act e la Legge di Stabilità. Per capire quali sono le categorie più colpite è necessario fare chiarezza all’interno del eterogeneo mondo degli autonomi italiani, che va dai parasubordinati, agli artigiani, ai commercianti fino ai liberi professionisti. Tutti hanno conosciuto difficoltà di associazione e rappresentanza, ma c’è chi sta meglio e chi peggio. Proprio le differenze interne hanno infatti condotto a regimi contributivi diversi. Artigiani e commercianti versano ora nella propria cassa, mentre gli altri professionisti versano i contributi alla gestione separata dell’INPS. Entro quest’ultimo segmento delle libere professioni, un’ulteriore distinzione importante è quella tra professioni regolamentate da un ordine professionale e professioni non regolamentate. Sono proprio queste, legate essenzialmente alla conoscenza, ad essere cresciute di più dagli anni Ottanta. Secondo i dati ISTAT aggiornati all’ottobre 2012, si tratta di 811 attività professionali e la complessità del settore risulta anche dall’alto numero di associazioni, circa 200 secondo il Cnel. E’ principalmente da Acta, l’associazione dei dei consulenti del terziario avanzato, che è giunto l’allarme rispetto alle misure presenti nel Jobs Act e nella Legge di Stabilità 2015. Con la campagna #JobsActa l’associazione ha sottolineato come la nuova riforma del lavoro manchi del tutto di considerare gli autonomi laddove interviene sull’estensione degli ammortizzatori sociali e sul sostegno al reddito. Era poi già stata la riforma Fornero a prevedere l’aumento dei contributi previdenziali per gli iscritti alla gestione separata. Contributi che devono passare nel 2015 dal 27,72% al 29,72%, per poi salire al 33,72% nel 2019. Come sottolineato da Acta, Alta Partecipazione e Confassociaizoni con l’iniziativa #dicaNo33, il disegno di Legge di Stabilità 2015 non solo non ha bloccato questi aumenti, ma ha invece agevolato ancor di più la cassa artigiani e commercianti eliminando i minimi contributivi. Con queste condizioni sarebbe conveniente per molti liberi professionisti il passaggio a questa cassa soggetta a un aliquota del 23%. Finti commercianti e artigiani per sopravvivenza, insomma.... L’effetto congiunto di Jobs Act e Legge di Stabilità alimenterebbe un nuovo dualismo del mercato del lavoro. Le condizioni previste per i lavoratori autonomi sembrano indicare quanto meno trascuratezza. Prevedere interventi a favore anche di questa categoria significherebbe non certo risolvere i problemi dell’occupazione nel paese. Vorrebbe dire piuttosto comprendere che nel tessuto produttivo italiano il lavoro autonomo può costituire un vero punto di forza, anche per le imprese, favorendo lo sviluppo di quelle nuove professioni creative che altrove trainano la crescita.

The Economist definisce il 2015 addirittura l'anno dei freelance dedicando loro copertina ed editoriale.

Da una recente indagine (dicembre 2014) realizzata da Censis e Adepp (Associazione degli Enti Previdenziali Privati che non riunisce tutte le casse previdenziali ma solo alcune) emergono invece alcune interessanti riflessioni riguardanti il welfare da ripensare e costruire.
Negli ultimi anni, le maggiori difficoltà di mercato affrontate dai professionisti italiani, hanno portato molti di loro anche a fare i conti con i limiti di un sistema di welfare che, centrato su una logica di tipo previdenziale, risulta in larga parte inadeguato a supportare i professionisti nei momenti di maggiore bisogno. Non solo l’assenza di forme di sostegno al reddito, o di strumenti agevolati di accesso al credito per i professionisti, può determinare, soprattutto per alcune categorie e fasce professionali, l’esclusione dal mercato e dalla vita lavorativa, ma anche la carenza degli strumenti volti a supportare i professionisti nel caso di imprevisti, rischi e scelte legate alla sfera personale, famigliare e affettiva, finisce per avere effetti pesanti sul percorso di sviluppo professionale. E’ indicativo da questo punto di vista che il 23,1% di professionisti tra 2009 e 2014 si è trovato a dover interrompere la propria attività lavorativa per un periodo limitato di tempo, per motivi di salute (9,4%), per maternità (8,2%) o per ragioni famigliari legati ad esempio alla cura di una persona malata (7,3%). Le donne, in particolare le più giovani, sono quelle su cui ricadono i maggiori rischi d’interruzione dell’attività professionale. Negli ultimi cinque anni il 35,8% si è trovata in condizione di dover interrompere l’attività professionale: per lo più per maternità (21,4%), ma in molti casi per prendersi cura di altri famigliari (9,1%). Di fronte a tali imprevisti o scelte di vita, che hanno ricadute dirette sulla vita professionale e sul reddito, i professionisti si trovano a dover contare per lo più sulle proprie risorse: ben il 70,4% ha fatto fronte al venire meno o alla diminuzione delle entrate da attività professionale attingendo ai propri risparmi e, a seguire, il 35,7% ha potuto contare sull’aiuto di amici o parenti. Solo nel 21,4% dei casi, legati per lo più alla maternità, la Cassa di previdenza ha supportato il professionista, mentre molto basso risulta l’orientamento alla stipula di assicurazioni visto che solo il 4,5% dei professionisti ha potuto contare su tale strumento. La previsione di strumenti a sostegno della maternità da parte di molte Casse spiega anche il maggiore supporto ricevuto dalle professioniste dai rispettivi enti di riferimento (il 31,9% delle donne contro l’8,3% degli uomini ha avuto un contributo dalla cassa), sebbene anche tra queste risulti molto alta la percentuale di quante hanno fatto fronte alle difficoltà economiche attingendo ai propri risparmi (66,8% contro il 76% degli uomini) o a quelli di amici e parenti: sono state il 41,5% a chiedere aiuto (contro il 27,6% degli uomini), un dato questo che sottolinea una maggiore debolezza economica della componente femminile che non può essere ignorata nella programmazione degli strumenti di welfare categoriale.

Pure la CGIL si è scomodata ed ha realizzato una fotografia dei professionisti ed un relativo "Decalogo dei diritti" 

E' davvero sconcertante che, a fronte di questi dati e della chiara importanza delle partite iva per il futuro del lavoro, ancora oggi il popolo dei freelance sia privo di diritti, tutele ed ammortizzatori soprattutto in caso di malattia. Invece di incentivare ed aiutare i professionisti di nuova generazione si rende loro praticamente impossibile lavorare e sopravvivere. Inquietante direi.......

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