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lunedì 27 gennaio 2014

Protocolli personalizzati per curare i tumori al seno: ma fatelo davvero, però

Per il cancro al seno si fa un gran parlare di protocolli diagnostici e terapeutici sempre più personalizzati. Bene, cavolo..... mi sembra un'ottima notizia, no? Peccato però che questa personalizzazione sia quasi esclusivamente concentrata sulle caratterisitche biologiche del tumore, sui risultati del referto anatomo-patologico e sull'età della donna. Ma la parola personalizzazione viene da "persona". Che fine fa il resto della persona rispetto alla definizione dei protocolli, soprattutto terapeutici, da personalizzare?
Ciò che maggiormente mi stupisce da quando mi hanno comunicato la diagnosi di cancro al seno è la scarsità di domande che mi sento fare ogni volta che incontro un medico diverso (e soprattutto in fase iniziale). Negli appuntamenti che danno via a processi importanti (l'incontro con l'equipe oncologica prima dell'intervento, quello con l'oncologa per la definizione delle terapie dopo l'intervento) mi sarei aspettata una tempesta di domande per capire meglio chi ero io e come adattare strategie, azioni e decisioni mediche alle informazioni raccolte su di me.
Il messaggio serpeggiante che avverto (poi c'è il medico che lo veicola con maggiore delicatezza e cortesia e chi lo fa con fare più autoritario) è sempre lo stesso. "Io sono il medico ed adesso ti dico cosa succederà (senza scendere troppo nei dettagli però...) e cosa dovrai fare. Tu sei la paziente ed ascolti. Se non capisci, puoi fare domande. Alla fine, esegui."
Nel mio caso non va affatto bene. Magari per altri non è così, non so, ma sicuramente io ho bisogno di:
a) essere una paziente attiva e partecipare al processo decisorio
b) essere conosciuta e successivamente trattata come una persona nella sua interezza
Non so se questa è un'esigenza universale, non è detto (ci sono magari pazienti che preferiscono essere guidati passo per passo e delegare tutto al medico competente), ma di sicuro so che questi sono i miei bisogni.

Ecco, quindi, tutte le informazioni che ritengo estremamente utili (se raccolte e poi in qualche modo elaborate) per un medico che debba gestire una donna con un tumore al seno.
Si tratta di una sorta di check list che i medici più interessati ad un approccio olistico potrebbe utilizzare per verificare quanto si sono posti la questione delle interazioni (virtuose o dannose) che ci possono essere tra le caratteristiche della paziente/donna e quello che andrà a fare (intervento chirurgico, terapie o quant'altro).
Se invece siete una paziente, potreste chiedervi quante cose il vostro medico, il vostro oncologo, il vostro chirurgo sa di voi, quanto vi conosce e quindi quanto è personalizzato il protocollo che vi è stato assegnato.
  • Donna coniugata o meno/presenza di un compagno di vita
  • Figli/età dei figli
  • Desiderio di avere figli/desiderio di avere altri figli
  • Condizioni abitative (vive sola?)
  • Località di provenienza (dove vive? quanta strada deve fare ogni volta per esami, visite, terapie?)
  • Composizione della famiglia di origine (madre, padre, fratelli e sorelle) attualmente
  • Possibilità di ricevere supporto psicologico e materiale dalla famiglia di origine e/o dall'eventuale famiglia propria
  • Attività lavorativa ed eventualmente tipologia di lavoro
  • Disponibilità e preoccupazioni di tipo economico
  • Familiarità con il tumore al seno (altre donne della famiglia con tumori al seno)
  • e voi....cosa avreste voluto che vi chiedessero?...............
Qualcuno potrebbe obiettare: ma queste non sono domande più da assistente sociale e da psiconcologo? Sì, certo che sì. Ma non è detto che la donna abbia deciso di usufruire di questi servizi ed in ogni caso, gli aspetti più strettamente medici (intervento, terapie) ci sono e ci saranno di sicuro, e l'interazione della persona con essi, anche. E se la donna da uno psicologo non ci va? E se ci va, ma quello che viene fuori, rimane solo in quel contesto, in quel setting? Siamo così sicuri che i medici si possano permettere di scaricare il considerare il paziente come un sistema nella sua interessa solo sullo psicologo?. Secondo me non se lo possono permettere. Il mio caso ne è una testimonianza lampante. Tutte le mie decisioni (anche quella di non fare la terapia anti ormonale) sono state pesantemente influenzate dalla mia situazione e da tutta una serie di variabili.
In ogni caso ci sono anche le vie di mezzo. Mi può anche stare bene che fare il medico sia già una roba complessa, che gestire un tumore dal punto di vista strettamente medico sia già tosto, ma almeno provarci un po' a conoscere chi hai davanti, no? Tra fare il medico iperolistico e fare quello che si occupa solo delle cellule che ti hanno tolto, c'è anche quello che si interessa un po' di te. A me sarebbe anche bastato quell'"un po'".

Ad Afrodite K piacerebbe tanto sapere cosa ne pensano i medici di tutto questo.
Negli incontri che io ho avuto con loro già sentivo il ticchettio delle lancette che scorrevano ed era grasso che colava se superavamo i 15min, figuriamoci se c'era la possibilità di disquisire di questo.......


1 commento:

  1. Ho già letto altri tuoi commenti in questo senso, e ora che ho trovato questo mi sento di dirti che sono perfettamente d'accordo. Ancora. Da che ho avuto la diagnosi sono diventata TC716 e non più una persona. E nonostante abbia più volte sollecitato il medico a darmi delle risposte... niente. Sono la paziente, il dottore è lui e io devo tacere. Oltretutto a volte con fare intimidatorio: vuoi che torni? Lo sai che facciamo tutto per te? Beh io non ci sto. 4 medici diversi della stessa equipe mi hanno detto che il mio tumore non c'è più che sono 'guarita' completamente, ma che il protocollo prevede chemio radio e 10 anni di ormoni... e alla mia domanda sugli effetti collaterali, la risposta è stata: li affronteremo quando si presenteranno. E alla domanda: ma che possibilità di recidiva abbattiamo con gli ormoni? Risposta: non si può dire, varia... intorno al 30% --- Non farò la terapia ormonale.

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