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venerdì 17 aprile 2015

La ricerca della CGIL sui professionisti a partita iva e le nuove politiche per il lavoro autonomo

Il 14 aprile 2015 a Roma si è tenuto un importante incontro ha visto, prima, il confronto tra la Cgil e i rappresentanti delle associazioni dei professionisti e dei lavoratori autonomi per discutere del "Nuovo Statuto dei Diritti delle lavoratrici e dei lavoratori"; subito dopo la presentazione della ricerca "Vita da professionisti", promossa dalla Consulta delle Professioni della Cgil e gestita dall'Associazione Bruno Trentin, sulla condizione dei lavoratori autonomi e professionisti. All'evento c'era il segretario generale della CGIL, Susanna Camusso ed il responsabile economico del Partito Democratico, Filippo Taddei.


La ricerca: dati sintetici e rapporto dettagliato

L'indagine si è rivolta ai professionisti NON dipendenti, di qualsiasi settore, che operano con qualsiasi forma contrattuale a termine, discontinua o precaria. Promossa e condotta dalla Consulta del Lavoro Professionale della Cgil e dalla Filcams Cgil, insieme all’Associazione Bruno Trentin, l’indagine è stata realizzata tramite un questionario on-line, attraverso il quale si sono indagati i principali aspetti che caratterizzano il lavoro dei professionisti: le condizioni di lavoro, gli aspetti economici e retributivi, gli obiettivi di cambiamento e di miglioramento che i lavoratori chiedono al sindacato. 
I risultati dell'indagine descrivono la con­di­zione dei nuovi poveri a par­tita Iva: il 57,8% di un cam­pione di 2210 auto­nomi gua­da­gna fino a 15 mila euro all’anno; il 13,2% tra i 15 e i 20 mila euro, il restante 28,9% più di 20 mila euro. Tutte cifre lorde. Red­diti che non tro­vano riscon­tro nella for­ma­zione e nelle com­pe­tenze accu­mu­late a par­tire da una lau­rea, o un diploma, e in costante aggior­na­mento. Quasi sem­pre a pro­prie spese.
Que­sto lavoro auto­nomo svolge le sue atti­vità in una delle 27 pro­fes­sioni rego­la­men­tate attra­verso ordini o col­legi pro­fes­sio­nali, ma anche nell’ambito del lavoro free­lance non ordi­ni­stico. Secondo i dati Isfol, i pro­fes­sio­ni­sti auto­nomi e free­lance che non sono impren­di­tori ne hanno dipen­denti sono circa 3 milioni e mezzo. Nel loro insieme con­tri­bui­scono per oltre il 18% al Pil.
Que­sto è il primo dato che rove­scia il pre­giu­di­zio domi­nante, in par­ti­co­lare quello legato alle let­ture ispi­rate alla nozione di «popolo delle par­tite Iva». Gli auto­nomi e i free­lance sareb­bero impren­di­tori e, in quanto tali, pro­du­cono valore e ric­chezza. Non è vero: sono lavo­ra­tori che ope­rano in auto­no­mia e per conto terzi. Non sono eva­sori fiscali, come a lungo hanno cre­duto la sini­stra e in par­ti­co­lare i sin­da­cati (Cgil com­presa). Per chi lavora per la P.A. (il 5,3%) o in mag­gio­ranza per i pri­vati (65%), e ancora in un ambito non pre­va­lente (il 23,2%) o il terzo set­tore (il 6,7%), eva­dere è molto difficile.
Tale auto­no­mia viene invece distinta in tre modi: una con­di­zione di auto­no­mia com­pleta (il 49,4% del cam­pione ha più com­mit­tenti alla pari); una di auto­no­mia pre­va­lente (il 33,3% ha più com­mit­tenti, di cui uno prin­ci­pale); un’altra di mono­com­mit­tenza (il 17,3%). Que­sta descri­zione smen­ti­sce un altro pre­giu­di­zio, diven­tato popo­la­ris­simo dopo l’approvazione della riforma For­nero: le par­tite Iva sareb­bero tutte false. In realtà sono dipen­denti mascherati.
Non è vero: nell’ambito del lavoro pro­fes­sio­nale la pla­tea degli auto­nomi è molto più ampia di quella dei para­su­bor­di­nati, come atte­sta l’indagine. Par­liamo di wor­king poors che lavo­rano con una plu­ra­lità di com­mit­tenze. Più datori di lavoro ci sono, più il magro red­dito può spe­rare di cre­scere. Que­sta rela­zione forte e lineare rivela un’altra realtà: le pro­fes­sioni che sof­frono di una «povertà estrema», con red­diti infe­riori ai 5 mila euro lordi annui, sono quelle della cul­tura e dello spet­ta­colo, i gior­na­li­sti e chi lavora nell’editoria. Ci sono anche gli archi­vi­sti e i biblio­te­cari e chi opera nell’area tecnico-scientifica. Chi invece per­ce­pi­sce un red­dito supe­riore ai 25 mila euro lordi lavora nei set­tori finan­ziari e assi­cu­ra­tivi, nella con­su­lenza, nella salute, nella sicu­rezza del lavoro o fa il commercialista.
La ricerca atte­sta inol­tre una forte con­sa­pe­vo­lezza dei diritti sociali, un’idea del Wel­fare e una dispo­ni­bi­lità all’impegno asso­cia­tivo. Il 45% del cam­pione par­te­cipa alle atti­vità di movi­menti e gruppi auto-organizzati, la vera novità cul­tu­rale e poli­tica regi­strata in que­sto seg­mento del quinto stato. Il 60,6% ritiene utile la crea­zione di spazi di cowor­king e il 72% è dispo­ni­bile a creare una società con i pro­pri col­le­ghi. La mag­gio­ranza sarebbe anche dispo­ni­bile all’aumento dei con­tri­buti pre­vi­den­ziali, ma alle seguenti con­di­zioni: aumento del red­dito netto, mag­giori detra­zioni, nuove rego­la­men­ta­zioni col­let­tive e una riforma previdenziale.

L'incontro e la presentazione dei risultati della ricerca è stata anche l'occasione per ascoltare le dichiarazioni di Filippo Taddei responsabile economico del Pd e stretto collaboratore di Matteo Renzi, che ha sottolineato: "La riforma non si ferma al lavoro dipendente ma prosegue con gli autonomi. Da giugno in poi ed entro l'anno interverremo con uno strumento legislativo che vorrebbe porre un limite massimo ai tempi dei pagamenti, la possibilità di una sospensione, ma non della interruzione, dei servizi di fornitura in caso di malattia o maternità e un regime fiscale agevolato per i redditi bassi".
Ormai sia da parte della CGIL che da parte del Governo, alemno a parole, c'è un grande interesse a a lavorare a nuove politiche del lavoro che tengano conto anche dei lavoratori autonomi. La rassegna stampa che segue lo dimostra chiaramente e le dichiarazioni fioccano da ogni dove.
Il problema è che mentre aspettiamo il nuovo welfare, la nuova previdenza, le nuove macro-strategie, qua i lavoratori autonomi continuano ad ammalarsi come tutte le persone normali e, nonostante siano stritolati di tasse e balzelli, non hanno tutele come lavoratori e nessun ammortizzatore sociale per parare i colpi. 
Caro Taddei, visto che chi vive sperando....., sarà il caso di mettere una toppa almeno sulla tutela della malattia? Cominciamo a fare qualcosina di meno impegnativo, soprattutto in termini di copertura finanziaria, ispirandoci al testo della Petizione "Diritti e tutele per i lavoratori autonomi che si ammalano"? Che ne dice, per esempio, di congelare le tasse ed i contributi (per riprendere i pagamenti, senza l'aggiunta di more punitive, passato il momento più acuto della malattia) ed esonerare gli ammalati dagli studi di settore?

Rassegna stampa:

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