Il 14 aprile 2015 a Roma si è tenuto un importante incontro ha visto,
prima, il confronto tra la Cgil e i rappresentanti delle associazioni
dei professionisti e dei lavoratori autonomi per discutere del "Nuovo
Statuto dei Diritti delle lavoratrici e dei lavoratori"; subito dopo la
presentazione della ricerca "Vita da professionisti",
promossa dalla Consulta delle Professioni della Cgil e gestita
dall'Associazione Bruno Trentin, sulla condizione dei lavoratori
autonomi e professionisti. All'evento c'era il segretario generale della
CGIL, Susanna Camusso ed il responsabile economico del Partito
Democratico, Filippo Taddei.
La ricerca: dati sintetici e rapporto dettagliato
L'indagine si è rivolta ai professionisti NON dipendenti, di qualsiasi settore, che operano con qualsiasi forma contrattuale a termine, discontinua o precaria. Promossa e condotta dalla Consulta del Lavoro Professionale della Cgil e dalla Filcams Cgil, insieme all’Associazione Bruno Trentin, l’indagine è stata realizzata tramite un questionario on-line, attraverso il quale si sono indagati i principali aspetti che caratterizzano il lavoro dei professionisti: le condizioni di lavoro, gli aspetti economici e retributivi, gli obiettivi di cambiamento e di miglioramento che i lavoratori chiedono al sindacato.
La ricerca: dati sintetici e rapporto dettagliato
L'indagine si è rivolta ai professionisti NON dipendenti, di qualsiasi settore, che operano con qualsiasi forma contrattuale a termine, discontinua o precaria. Promossa e condotta dalla Consulta del Lavoro Professionale della Cgil e dalla Filcams Cgil, insieme all’Associazione Bruno Trentin, l’indagine è stata realizzata tramite un questionario on-line, attraverso il quale si sono indagati i principali aspetti che caratterizzano il lavoro dei professionisti: le condizioni di lavoro, gli aspetti economici e retributivi, gli obiettivi di cambiamento e di miglioramento che i lavoratori chiedono al sindacato.
I risultati dell'indagine
descrivono la condizione dei nuovi poveri a partita Iva: il 57,8% di
un campione di 2210 autonomi guadagna fino a 15 mila euro all’anno;
il 13,2% tra i 15 e i 20 mila euro, il restante 28,9% più di 20 mila
euro. Tutte cifre lorde. Redditi che non trovano riscontro
nella formazione e nelle competenze accumulate a partire da una
laurea, o un diploma, e in costante aggiornamento. Quasi sempre a
proprie spese.
Questo lavoro autonomo svolge le sue attività in una delle 27 professioni regolamentate attraverso ordini o collegi professionali, ma anche nell’ambito del lavoro freelance non ordinistico. Secondo i dati Isfol, i professionisti autonomi e freelance che non sono imprenditori ne hanno dipendenti sono circa 3 milioni e mezzo. Nel loro insieme contribuiscono per oltre il 18% al Pil.
Questo è il primo dato che rovescia il pregiudizio dominante, in particolare quello legato alle letture ispirate alla nozione di «popolo delle partite Iva». Gli autonomi e i freelance sarebbero imprenditori e, in quanto tali, producono valore e ricchezza. Non è vero: sono lavoratori che operano in autonomia e per conto terzi. Non sono evasori fiscali, come a lungo hanno creduto la sinistra e in particolare i sindacati (Cgil compresa). Per chi lavora per la P.A. (il 5,3%) o in maggioranza per i privati (65%), e ancora in un ambito non prevalente (il 23,2%) o il terzo settore (il 6,7%), evadere è molto difficile.
Tale autonomia viene invece distinta in tre modi: una condizione di autonomia completa (il 49,4% del campione ha più committenti alla pari); una di autonomia prevalente (il 33,3% ha più committenti, di cui uno principale); un’altra di monocommittenza (il 17,3%). Questa descrizione smentisce un altro pregiudizio, diventato popolarissimo dopo l’approvazione della riforma Fornero: le partite Iva sarebbero tutte false. In realtà sono dipendenti mascherati.
Non è vero: nell’ambito del lavoro professionale la platea degli autonomi è molto più ampia di quella dei parasubordinati, come attesta l’indagine. Parliamo di working poors che lavorano con una pluralità di committenze. Più datori di lavoro ci sono, più il magro reddito può sperare di crescere. Questa relazione forte e lineare rivela un’altra realtà: le professioni che soffrono di una «povertà estrema», con redditi inferiori ai 5 mila euro lordi annui, sono quelle della cultura e dello spettacolo, i giornalisti e chi lavora nell’editoria. Ci sono anche gli archivisti e i bibliotecari e chi opera nell’area tecnico-scientifica. Chi invece percepisce un reddito superiore ai 25 mila euro lordi lavora nei settori finanziari e assicurativi, nella consulenza, nella salute, nella sicurezza del lavoro o fa il commercialista.
La ricerca attesta inoltre una forte consapevolezza dei diritti sociali, un’idea del Welfare e una disponibilità all’impegno associativo. Il 45% del campione partecipa alle attività di movimenti e gruppi auto-organizzati, la vera novità culturale e politica registrata in questo segmento del quinto stato. Il 60,6% ritiene utile la creazione di spazi di coworking e il 72% è disponibile a creare una società con i propri colleghi. La maggioranza sarebbe anche disponibile all’aumento dei contributi previdenziali, ma alle seguenti condizioni: aumento del reddito netto, maggiori detrazioni, nuove regolamentazioni collettive e una riforma previdenziale.
Questo lavoro autonomo svolge le sue attività in una delle 27 professioni regolamentate attraverso ordini o collegi professionali, ma anche nell’ambito del lavoro freelance non ordinistico. Secondo i dati Isfol, i professionisti autonomi e freelance che non sono imprenditori ne hanno dipendenti sono circa 3 milioni e mezzo. Nel loro insieme contribuiscono per oltre il 18% al Pil.
Questo è il primo dato che rovescia il pregiudizio dominante, in particolare quello legato alle letture ispirate alla nozione di «popolo delle partite Iva». Gli autonomi e i freelance sarebbero imprenditori e, in quanto tali, producono valore e ricchezza. Non è vero: sono lavoratori che operano in autonomia e per conto terzi. Non sono evasori fiscali, come a lungo hanno creduto la sinistra e in particolare i sindacati (Cgil compresa). Per chi lavora per la P.A. (il 5,3%) o in maggioranza per i privati (65%), e ancora in un ambito non prevalente (il 23,2%) o il terzo settore (il 6,7%), evadere è molto difficile.
Tale autonomia viene invece distinta in tre modi: una condizione di autonomia completa (il 49,4% del campione ha più committenti alla pari); una di autonomia prevalente (il 33,3% ha più committenti, di cui uno principale); un’altra di monocommittenza (il 17,3%). Questa descrizione smentisce un altro pregiudizio, diventato popolarissimo dopo l’approvazione della riforma Fornero: le partite Iva sarebbero tutte false. In realtà sono dipendenti mascherati.
Non è vero: nell’ambito del lavoro professionale la platea degli autonomi è molto più ampia di quella dei parasubordinati, come attesta l’indagine. Parliamo di working poors che lavorano con una pluralità di committenze. Più datori di lavoro ci sono, più il magro reddito può sperare di crescere. Questa relazione forte e lineare rivela un’altra realtà: le professioni che soffrono di una «povertà estrema», con redditi inferiori ai 5 mila euro lordi annui, sono quelle della cultura e dello spettacolo, i giornalisti e chi lavora nell’editoria. Ci sono anche gli archivisti e i bibliotecari e chi opera nell’area tecnico-scientifica. Chi invece percepisce un reddito superiore ai 25 mila euro lordi lavora nei settori finanziari e assicurativi, nella consulenza, nella salute, nella sicurezza del lavoro o fa il commercialista.
La ricerca attesta inoltre una forte consapevolezza dei diritti sociali, un’idea del Welfare e una disponibilità all’impegno associativo. Il 45% del campione partecipa alle attività di movimenti e gruppi auto-organizzati, la vera novità culturale e politica registrata in questo segmento del quinto stato. Il 60,6% ritiene utile la creazione di spazi di coworking e il 72% è disponibile a creare una società con i propri colleghi. La maggioranza sarebbe anche disponibile all’aumento dei contributi previdenziali, ma alle seguenti condizioni: aumento del reddito netto, maggiori detrazioni, nuove regolamentazioni collettive e una riforma previdenziale.
L'incontro e la presentazione dei risultati della ricerca è stata anche l'occasione per ascoltare le dichiarazioni di Filippo Taddei responsabile economico del Pd e stretto collaboratore di Matteo Renzi, che ha sottolineato: "La riforma non si ferma al lavoro dipendente ma
prosegue con gli autonomi. Da giugno in poi ed entro l'anno interverremo
con uno strumento legislativo che vorrebbe porre un limite
massimo ai tempi dei pagamenti, la possibilità di una sospensione, ma
non della interruzione, dei servizi di fornitura in caso di malattia o
maternità e un regime fiscale agevolato per i redditi bassi".
Ormai sia da parte della CGIL che da parte del Governo, alemno a parole, c'è un grande interesse a a lavorare a nuove politiche del lavoro che tengano conto anche dei lavoratori autonomi. La rassegna stampa che segue lo dimostra chiaramente e le dichiarazioni fioccano da ogni dove.
Il problema è che mentre aspettiamo il nuovo welfare, la nuova previdenza, le nuove macro-strategie, qua i lavoratori autonomi continuano ad ammalarsi come tutte le persone normali e, nonostante siano stritolati di tasse e balzelli, non hanno tutele come lavoratori e nessun ammortizzatore sociale per parare i colpi.
Caro Taddei, visto che chi vive sperando....., sarà il caso di mettere una toppa almeno sulla tutela della malattia? Cominciamo a fare qualcosina di meno impegnativo, soprattutto in termini di copertura finanziaria, ispirandoci al testo della Petizione "Diritti e tutele per i lavoratori autonomi che si ammalano"? Che ne dice, per esempio, di congelare le tasse ed i contributi (per riprendere i pagamenti, senza l'aggiunta di more punitive, passato il momento più acuto della malattia) ed esonerare gli ammalati dagli studi di settore?
Ormai sia da parte della CGIL che da parte del Governo, alemno a parole, c'è un grande interesse a a lavorare a nuove politiche del lavoro che tengano conto anche dei lavoratori autonomi. La rassegna stampa che segue lo dimostra chiaramente e le dichiarazioni fioccano da ogni dove.
Il problema è che mentre aspettiamo il nuovo welfare, la nuova previdenza, le nuove macro-strategie, qua i lavoratori autonomi continuano ad ammalarsi come tutte le persone normali e, nonostante siano stritolati di tasse e balzelli, non hanno tutele come lavoratori e nessun ammortizzatore sociale per parare i colpi.
Caro Taddei, visto che chi vive sperando....., sarà il caso di mettere una toppa almeno sulla tutela della malattia? Cominciamo a fare qualcosina di meno impegnativo, soprattutto in termini di copertura finanziaria, ispirandoci al testo della Petizione "Diritti e tutele per i lavoratori autonomi che si ammalano"? Che ne dice, per esempio, di congelare le tasse ed i contributi (per riprendere i pagamenti, senza l'aggiunta di more punitive, passato il momento più acuto della malattia) ed esonerare gli ammalati dagli studi di settore?
Rassegna stampa:
- Il diario del lavoro - Ricerca CGIL sui professionisti autonomi in cerca di tutele
- CGIL Toscana - Professioni, tutele universali da costruire. Camusso, bisogna riscrivere lo statuto dei lavoratori
- La Repubblica - Il popolo delle partite iva tra le avances della CGIL e del PD
- Il Manifesto - Vita da professionisti, poveri a partita iva: "Vogliamo la riforma del Welfare e della Previdenza"
- Rassegna.it - Professioni, tutele universali da costruire
- Reuters Italia - Lavoro, dopo Jobs act misure per autonomi entro un anno- Taddei
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