Recentemente è stato pubblicato il libro “L’equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle diseguaglianze sociali in sanità” a cura di Giuseppe Costa ed altri autori. Il testo è stato scritto in collaborazione con i membri del gruppo interregionale “Equità nella Salute e nella Sanità” e voluto dalla Commissione Salute delle Regioni. Le riflessioni contenute in questa pubblicazione possono essere molto interessanti anche rispetto alla delicata questione della protezione sociale per i lavoratori autonomi e le partite iva.
Tutte le riflessioni che seguono hanno "raccapriccianti" collegamenti con la condizione che caratterizza i lavoratori autonomi colpiti da malattia grave e prolungata e con l'importanza estrema che le richieste contenute nella Petizione "Diritti ed assistenza per i lavoratori autonomi che si ammalano" vengano accolte. Pur essendo una questione più legata al Ministero del Lavoro che a quello della Sanità, è anche vero che le discriminazioni che le partite iva subiscono in quanto lavoratori rischiano di influenzare anche l'accesso alle cure e le scelte terapeutiche.
Negli ultimi decenni si è assistito al netto e costante miglioramento della salute della popolazione italiana: l’aspettativa di vita è aumentata, la mortalità si è ridotta. Tuttavia, non tutti i cittadini hanno beneficiato allo stesso modo di questi progressi. Continuano infatti a persistere importanti differenze negli esiti di salute dei vari gruppi sociali: quanto più si è ricchi, istruiti, residenti in aree non deprivate, e in generale dotati di risorse e opportunità socioeconomiche, tanto più si tende a presentare un profilo di salute più sano.
Se tali disuguaglianze sono di per sé ingiuste, non etiche e soprattutto non immutabili, rimangono due ulteriori ragioni per promuovere il contrasto: innanzitutto sono una priorità costituzionale (come recita l’articolo 32), in secondo luogo rappresentano un grave freno all’economia nazionale.
E’ stato stimato che l’eliminazione delle disuguaglianze associate al livello di istruzione porterebbe, in Italia, a una riduzione di circa il 30% della mortalità generale maschile e quasi del 20% di quella femminile.
Negli ultimi decenni si è assistito al netto e costante miglioramento della salute della popolazione italiana: l’aspettativa di vita è aumentata, la mortalità si è ridotta. Tuttavia, non tutti i cittadini hanno beneficiato allo stesso modo di questi progressi. Continuano infatti a persistere importanti differenze negli esiti di salute dei vari gruppi sociali: quanto più si è ricchi, istruiti, residenti in aree non deprivate, e in generale dotati di risorse e opportunità socioeconomiche, tanto più si tende a presentare un profilo di salute più sano.
Se tali disuguaglianze sono di per sé ingiuste, non etiche e soprattutto non immutabili, rimangono due ulteriori ragioni per promuovere il contrasto: innanzitutto sono una priorità costituzionale (come recita l’articolo 32), in secondo luogo rappresentano un grave freno all’economia nazionale.
E’ stato stimato che l’eliminazione delle disuguaglianze associate al livello di istruzione porterebbe, in Italia, a una riduzione di circa il 30% della mortalità generale maschile e quasi del 20% di quella femminile.
Povertà materiale e povertà di reti di aiuto, disoccupazione, lavoro poco qualificato, basso titolo di studio sono tutti fattori, spesso correlati tra loro, che minacciano la salute degli individui.
Numerosi studi pubblicati negli ultimi 20 anni hanno dimostrato che in tutta Europa i cittadini in condizioni di vantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima.
Mano a mano che si risale lungo la scala sociale questi stessi indicatori di salute migliorano secondo quello che viene chiamata la legge del gradiente sociale. Ad esempio, tra gli uomini in Italia negli anni Duemila si osservano più di cinque anni di differenza nella speranza di vita tra chi ha continuato a fare l’operaio non qualificato per tutta la sua vita lavorativa rispetto a chi è diventato dirigente, con aspettative di vita crescenti salendo lungo la scala sociale.
Il rischio di morire cresce con l’abbassarsi del titolo di studio. Chi ha un diploma ha un rischio di morire maggiore del 16% rispetto ad un laureato, chi la licenzia media del 46%, chi quella elementare del 78%.
Questo fenomeno si ripete anche tra le donne e riguarda tutti gli indicatori di salute: ammalarsi, restare a lungo con la malattia e con le sue conseguenze, finire male a causa della malattia. In Italia le disuguaglianze di salute sono più intense nelle regioni del sud che in quelle del nord.
Numerosi studi pubblicati negli ultimi 20 anni hanno dimostrato che in tutta Europa i cittadini in condizioni di vantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima.
Mano a mano che si risale lungo la scala sociale questi stessi indicatori di salute migliorano secondo quello che viene chiamata la legge del gradiente sociale. Ad esempio, tra gli uomini in Italia negli anni Duemila si osservano più di cinque anni di differenza nella speranza di vita tra chi ha continuato a fare l’operaio non qualificato per tutta la sua vita lavorativa rispetto a chi è diventato dirigente, con aspettative di vita crescenti salendo lungo la scala sociale.
Il rischio di morire cresce con l’abbassarsi del titolo di studio. Chi ha un diploma ha un rischio di morire maggiore del 16% rispetto ad un laureato, chi la licenzia media del 46%, chi quella elementare del 78%.
Questo fenomeno si ripete anche tra le donne e riguarda tutti gli indicatori di salute: ammalarsi, restare a lungo con la malattia e con le sue conseguenze, finire male a causa della malattia. In Italia le disuguaglianze di salute sono più intense nelle regioni del sud che in quelle del nord.
Queste disuguaglianze sono ingiuste perché sistematicamente a svantaggio dei gruppi sociali più sfavoriti e perché contemporaneamente sono anche evitabili, almeno in parte.
Inoltre sono anche inefficienti per il Paese, perché rappresentano un freno allo sviluppo sociale ed economico e spesso provocano l’uscita precoce dal mercato del lavoro di persone altrimenti produttive, un maggior costo a carico del servizio sanitario, delle politiche assistenziali e del welfare, così come una ragione di minore coesione sociale, con un impatto complessivo stimato intorno al 10% del PIL. Se si potesse intervenire sui meccanismi che le generano fino ad eliminarle si potrebbero avere notevoli miglioramenti di salute, ad esempio riduzioni della mortalità che arrivano fino al 50% tra i giovani adulti maschi.
Inoltre sono anche inefficienti per il Paese, perché rappresentano un freno allo sviluppo sociale ed economico e spesso provocano l’uscita precoce dal mercato del lavoro di persone altrimenti produttive, un maggior costo a carico del servizio sanitario, delle politiche assistenziali e del welfare, così come una ragione di minore coesione sociale, con un impatto complessivo stimato intorno al 10% del PIL. Se si potesse intervenire sui meccanismi che le generano fino ad eliminarle si potrebbero avere notevoli miglioramenti di salute, ad esempio riduzioni della mortalità che arrivano fino al 50% tra i giovani adulti maschi.
Per ridurre le conseguenze delle disuguaglianze sociali sulla salute occorre intervenire con azioni e politiche, sanitarie e non, capaci di interrompere i vari meccanismi che le innescano, ovvero:
- Il contesto economico e sociale e le politiche di sviluppo e welfare sono i principali corresponsabili della posizione sociale a cui ogni persona approda nella sua vita: dalla posizione sociale dipende il grado di controllo che la persona ha sulla propria vita;
- a sua volta la posizione sociale influenza la probabilità di essere esposto ai principali fattori di salute fisica e mentale, tra i quali: i fattori di rischio legati all’ambiente dove le persone risiedono e lavorano (chimici, biologici, fisici ed ergonomici); i fattori di rischio psicosociali, ovvero lo squilibrio tra quello che si esige da una persona e il grado di controllo che essa ha sul proprio lavoro, tra la remunerazione e le richieste, il grado di supporto e coesione di cui la persona fa esperienza nelle quotidiane condizioni di vita e di lavoro; gli stili di vita insalubri, come il fumo, l’alcool, l’obesità, l’inattività fisica, la cattiva alimentazione, il sesso non protetto;
- le limitazioni all’accesso alle cure appropriate;
- inoltre la posizione sociale influenza anche la vulnerabilità agli effetti sfavorevoli sulla salute dei suddetti fattori di rischio; in molti casi le persone di bassa posizione sociale esposti allo stesso fattore di rischio manifestano effetti sfavorevoli sulla salute più severi di quanto non succeda alle persone di alta posizione sociale;
- infine, i gruppi più svantaggiati hanno meno risorse per far fronte o prevenire le conseguenze sociali dell’esperienza di malattia. Si pensi al rischio di impoverimento per le spese sanitarie o di difficoltà di carriera lavorativa in presenza di una malattia propria o di un familiare. Questi meccanismi di origine delle disuguaglianze di salute sono punti di ingresso per politiche e azioni di contrasto e moderazione.
Il libro bianco fornisce una ricca documentazione del fatto che ognuno di questi meccanismi è in azione nel nostro paese e dell’importanza relativa con cui ognuno contribuisce all’impatto disuguale sulla salute. Documenta, inoltre, le principali esperienze di contrasto che sono state messe in campo in altri paesi, in particolare nel Regno Unito, dove negli ultimi 15 anni sono stati sviluppati e finanziati programmi esplicitamente orientati al contrasto delle disuguaglianze di salute.
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