La difficoltà di conciliare il lavoro autonomo ed un cancro al seno non è certo un problema che riguarda solo le donne italiane, ma l'essere incappata in questo articolo pubblicato dal Breast Cancer Consortium, mi ha davvero emozionata. Ho sentito una familiarità incredibile nelle parole di Che, una parrucchiera spagnola che racconta le sue difficoltà e le sue ansie. Ebbene sì, noi lavoratrici autonome colpite dal cancro al seno non siamo sole purtroppo, siamo tante e sparse in tutto il mondo. Ci unisce un filo invisibile che attraversa i confini dei nostri paesi sperando che questo prima o poi, almeno l'Europa, dia una concreta attuazione alla recente risoluzione del Parlamento Europeo "Protezione sociale per tutti, anche per i lavoratori autonomi".
Articolo di Ana Porroche Escudero (ricercatrice ed antropologa membro del Breast Cancer Consortium che vive nel Regno Unito)
La storia di Che rappresenta uno dei tanti aspetti socioeconomici nascosti del cancro al seno, quello in cui alcune donne non sono in grado di permettersi assenze per malattia, perché sono i principali sostenitori della loro famiglia e perché è come se una spada di Damocle pendesse sulla loro attività professionale. Molto più inquietante, come nel caso di Che, è che i cicli invalidanti di terapie antitumorali presentano un effetto particolarmente pesante per le lavoratrici autonome soprattutto se svolgono attività manuali.
Ho incontrato Che quando aveva circa 45 anni e gestiva un negozio di parrucchiera da oltre 15 anni in una città di provincia della Spagna. Era sposata con un uomo senza occupazione da molto tempo e che non le ha fornito molto sostegno emotivo. Avevano avuto insieme un figlio di sei anni.
Vi racconterò l'occupazione di Che e la storia della sua famiglia per aiutarvi a capire meglio l'esperienza che lei ha avuto con il cancro al seno.
Appassionata al suo lavoro, mi ha detto che lasciò il suo posto di lavoro dopo dieci anni presso una parrucchiera pensando di aprire un suo negozio con l'aiuto di un prestito e la disponibilità a lavorare tantissime ore. Come è la prassi per le parrucchiere in Spagna, Che lavorava un minimo di 9 ore al giorno, senza contare il tempo aggiuntivo speso per questioni amministrative, tra cui il monitoraggio dei pagamenti, il pagamento delle tasse, i rapporti con i fornitori, la gestione dei dipendenti e dei clienti. A causa delle difficoltà di avviare un salone da zero Che e suo marito rimandarono l' avere dei figli. Solo quando l'attività fu ben avviata e lei fu in grado di assumere due collaboratrici che dessero una mano, la coppia decise di avere un bambino. Fu a questo punto, quando Che aveva 39 anni, che le cose cominciarono ad andare male.
Appassionata al suo lavoro, mi ha detto che lasciò il suo posto di lavoro dopo dieci anni presso una parrucchiera pensando di aprire un suo negozio con l'aiuto di un prestito e la disponibilità a lavorare tantissime ore. Come è la prassi per le parrucchiere in Spagna, Che lavorava un minimo di 9 ore al giorno, senza contare il tempo aggiuntivo speso per questioni amministrative, tra cui il monitoraggio dei pagamenti, il pagamento delle tasse, i rapporti con i fornitori, la gestione dei dipendenti e dei clienti. A causa delle difficoltà di avviare un salone da zero Che e suo marito rimandarono l' avere dei figli. Solo quando l'attività fu ben avviata e lei fu in grado di assumere due collaboratrici che dessero una mano, la coppia decise di avere un bambino. Fu a questo punto, quando Che aveva 39 anni, che le cose cominciarono ad andare male.
Che ama il suo lavoro ed ama parlare con le sue clienti. Per lei essere parrucchiera è un'arte che dà sia soddisfazione emotiva che indipendenza finanziaria. In realtà, la maggior parte delle clienti di Che avevano sempre espresso una preferenza per lei rispetto alle sue collaboratrici. Così, quando Che rimase incinta pensò che il congedo di maternità non sarebbe stata una buona soluzione. Senza di lei lì per servire le sue clienti si sarebbero create ripercussioni negative sull'attività del negozio.
Per sostenere il lavoro della moglie, il marito di Che scelse di usufruire del congedo di paternità. Fu licenziato senza motivo apparente prima che il congedo iniziasse. Che racconta che il marito fu licenziato ingiustamente solo perché aveva preso il congedo. In seguito al suo licenziamento, il marito di Che iniziò a soffrire di depressione, rendendo difficile per lui svolgere qualsiasi tipo di impiego. Le cose peggiorarono ulteriormente dopo che a Che fu diagnosticato un tumore al seno.
Da oltre 12 anni Che sapeva di avere un piccolo nodulo al seno, ma le era stato assicurato, durante controlli regolari, che non era niente di preoccupante. Due anni prima della nostra intervista, Che notò che il nodulo era diventato più grande, "più statico" e scomodo. I test ad ultrasuoni e l'analisi citologia non avevano trovato alcuna anomalia, quindi il suo medico le suggerì di pianificare appuntamenti regolari ogni sei mesi. Sempre più preoccupatoa per la sua diagnosi e per il nodulo che era diventato doloroso, Che prenotò un appuntamento per uno screening al seno dopo aver ricevuto un invito da parte della Associazione Spagnola contro il cancro - approvata dal Ministero della Salute spagnolo. La diagnosi di cancro al seno diventò certa.
Gli impatti negativi di una dignosi di tumore e dei trattamenti erano molti ed immediatamente tangibili per Che. In primo luogo, sapeva fin troppo bene che ogni giorno di lavoro perso si traduceva in perdita di clienti. Le sue collaboratrici, inoltre, non erano esperte come lei e quindi non lavoravano allo stesso suo livello di professionalità. Quando feci a Che domande sulle sue clienti abituali, mi rispose subito: "Oggi, nemmeno tuo marito è fedele." Senza clienti non ci sarebbe stato alcun reddito per pagare il cibo, bollette, tasse, o gli stipendi delle collaboratrici.
Quando incontrai Che aveva fatto solo un ciclo di chemioterapia. Non aveva potuto fare il secondo perché le sue difese immunitarie erano troppo basse. Che mi disse che lei non temeva il cancro in sè, ma i trattamenti e il modo in cui questi incidevano sul suo corpo, la sua mente e la sua capacità di lavorare di nuovo. Lei mi raccontò: "Ho tanta paura dei trattamenti perché non so quanto si deteriorerà il mio sistema immunitario. Ma non posso scegliere. Non posso dimenticare la mia attività lavorativa, nemmeno volendo. Non importa quante volte lo psicologo mi dice di non pensarci, per me è un problema. Se mi avessero detto che sarei andata a guadagnare ogni mese lo stesso importo di sempre, sarei stata sollevata da molti problemi."
Al momento dell'intervista, i lavoratori autonomi in Spagna non avevano diritto all'indennità di disoccupazione. Fino a poco tempo fa, non avevano diritto nemmeno alle indennità di malattia da parte dello Stato. Come Che mi disse:"Non gliene frega niente a nessuno se devo chiudere la mia attività perché, se sei una lavoratrice autonoma e ti ammali, è un tuo problema ... Tutto per noi è difficile e non ci permette di ammalarci."
Data la rete di sicurezza insufficiente che il sistema di assistenza sociale di Spagna prevede per i suoi lavoratori autonomi, molti pagano per ulteriori assicurazioni sanitarie private. Spesso queste compagnie di assicurazione negano le richieste di risarcimento, sostenendo che malattie come il cancro, non sono coperte dal contratto. Che ricorda uno scambio con la sua compagnia di assicurazione privata alcune settimane prima della nostra intervista: "Come lavoratrice autonoma voglio ricevere le mie prestazioni assistenziali in caso di malattia dal primo giorno in cui mi ammalo. Per questo ho un'assicurazione privata. Ho scoperto invece che mi pagheranno al termine del trattamento, perché sarà un lungo congedo per malattia. Ho chiesto loro - ma non devo mangiare ogni giorno? Pensate che il denaro piova dal cielo? - Ho scritto loro una lettera chiedendo se potevo avere un anticipo. Mi guardo e ho la sensazione di essere buttata via come un mozzicone di sigaretta."
Il mondo di Che crollò. Lavorò molto duramente per mantenere la sua attività a galla. Riuscì a soddisfare le richieste intransigenti dell'Agenzia delle Entrate ed i premi dell' assicurazione privata. Sacrificò i suoi sogni di avere una famiglia numerosa ed anche la sua relazione.
Dopo aver attraversato tutto questo, Che espresse un pensiero davvero commovente: "Avrei voluto che mi dicessero - Cara paziente, ci accingiamo a darti ciò che ti spetta perché te lo meriti, perché hai pagato le tasse per tutti questi anni - Io credevo di meritarlo. Ho lavorato per 15 anni come lavoratrice autonoma e ho sempre pagato le mie tasse. Non ho mai trattenuto nulla. Anche durante le ispezioni periodiche non avrebbero mai potuto trovare nulla di irregolare perché tutto era fatto secondo la legge"
Anche la relazione di Che con il marito peggiorò. La tensione e la fatica di vivere con un uomo che era malato di mente, e che non la supportava nè economicamente nè emotivamente, si sommò alla preoccupazione costante di non potersi permettere di essere malata ed avere il tempo di riprendersi:"Lui si lamenta perchè abbiamo molti visitatori a casa e questo sconvolge la sua vita. Mi accusa anche di non fare nulla in casa. Ma io ho davvero bisogno di qualcuno che si prenda cura di me. Ho deciso che dovevo tornare dai miei genitori e che lui si sarebbe preso cura di nostro figlio. Ho problemi molto più grandi rispetto alla mia malattia e la casa può davvero aspettare."
Oltre alle preoccupazioni costanti, Che sentì il peso di essere l'unico sostegno della famiglia e di "lasciare" il figlio con il marito ed i suoceri. Le sue preoccupazioni riflettono la complessa rete di valori di genere che rendono la gestione del cancro ancora più difficile. Questi, a loro volta, possono peggiorare la salute fisica e mentale del paziente, come traspare da come Che giustifica le sue decisioni: "Se muoio, mio figlio perderà sua madre ... Questa situazione mi corrode tremendamente, amaramente e visceralmente .... Come può mantenersi l'equilibrio in una coppia se la persona forte nella coppia si ammala?".
Che aveva iniziato con molto poco, ma era riuscita ad eccellere nella sua carriera anche quando questo interferiva con le sue aspirazioni ad avere una famiglia più grande. Aveva comprato una casa e pagato il prestito per la sua attività. Aveva lavorato per il suo futuro. Ma anche se Che riuscirà a superare il cancro, lo scenario per il suo futuro è davvero preoccupante. A 45 anni si trova ad essere la sola capofamiglia, con un figlio, un marito che è malato di mente, un misero assegno per il congedo per malattia, in futuro forse nemmeno quello. La sua occupazione non è conciliabile con le implicazioni e gli effetti collaterali derivanti da un intervento chirurgico all'ascella. Sarà improbabile per lei lavorare per ciò in cui è qualificata e tutto sarà complicato dalla possibilità di trovare un lavoro tenendo conto della sua età e della sua disabilità.
Per persone come Che, una diagnosi di cancro al seno può cambiare molto la propria vita, ed in peggio. Il suo caso illustra davvero bene come un cancro al seno significhi molto più che eliminare cellule tumorali dal corpo. Le circostanze lavorative e sociali in cui vivono le donne possono essere spaventose come le terapie seguite.
Scarica l'intero documento "Demistifying Breast Cancer" in inglese
PS Cara Che, chissà dove sei in questo momento e cosa stai facendo, se sei giù oppure magari sei immersa in un piccolo intermezzo di serenità. In ogni caso prenditi tutto questo mega-abbraccio dalle donne italiane, TUTTE
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